Il coraggio di Jole Santelli e la memoria sfregiata (dalla partigianeria)

Giusi Fasano

«Ecco. Adesso che non c’è più la santificate tutti» mi ha detto ieri mattina al telefono una persona che conosceva Jole Santelli e che non l’ha mai amata.

Sbagliato.

La santificazione improvvisa sarebbe sospetta per chi fino a ieri avesse scritto e detto di lei con acrimonia, cattiveria, malignità, violenza e adesso cambiasse improvvisamente registro.


Qui si tratta invece di quel #manteniamociumani tanto citato sui social e poco praticato nella vita reale.

Si tratta di un #facciamorete che sarebbe necessario davanti al ricordo di una giovane donna così generosa da non mettere mai la sua malattia davanti al resto.

E invece «per tutti il dolore degli altri è dolore a metà», come diceva Fabrizio De Andrè. E dimenticarsi di #mantenersiumani è un attimo.

Fare rete in questo caso significa per esempio cominciare a riconoscere (lo dico soprattutto alle donne della società civile e agli avversari politici che nel tempo l’hanno criticata ferocemente) che almeno lei ci ha provato, che ha provato a mettersi in gioco, a maneggiare la politica in una Calabria che ai vertici ha sempre avuto uomini, soltanto uomini, e che sulle questioni di genere ha davanti una strada ancora molto in salita.

Esserci. Partecipare. Fare.

Per le donne non è mai così scontato, in Calabria — nella sua e nella mia Calabria — forse lo è ancora meno che altrove.

Si può anche non apprezzare nessuna delle scelte fatte da Jole Santelli da presidente della Regione, da vicesindaco, da onorevole... quello che non si può fare è ridurre a un pettegolezzo la sua passione per la politica, bisbigliare cattiverie sulla sua candidatura da malata terminale oppure sminuire il suo ruolo «perché tanto ha sempre deciso Berlusconi per lei».

Ancor meno si possono scrivere sui social oscenità come «Evvai! una mafiosa di meno» o «una fascista di meno»: ma in quel caso parliamo di ciarpame. Invocare il buonsenso e il ravvedimento è perfino ridicolo.

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