L’intervista

Tavares (Stellantis): «Auto elettrica scelta dei politici, la brutalità della svolta crea dei rischi sociali»

di Federico Fubini

Tavares (Stellantis): «Auto elettrica scelta dei politici, la brutalità della svolta crea dei rischi sociali»

Carlos Tavares, 63 anni, portoghese, amministratore delegato del gruppo Stellantis nato dalla fusione fra Fca e Peugeot, traccia in questa intervista un bilancio a un anno dall’avvio della fase operativa nella vita della nuova azienda. Tavares ha parlato dalla sua residenza in Portogallo al «Corriere della Sera» e a un gruppo ristretto di quotidiani europei.

Stellantis è nata un anno fa: siete soddisfatti dei risultati rispetto agli obiettivi che vi eravate dati?
«Molto. Soprattutto nel contesto del 2021, che è stato un anno complicato. Abbiamo dovuto affrontare la crisi dei semiconduttori, l’inflazione delle materie prime e la crisi del Covid. Abbiamo dovuto prendere in considerazione i nuovi obiettivi della transizione elettrica che ci hanno dato le autorità politiche. Abbiamo creato una nuova organizzazione e una nuova governance in un’azienda che ora è molto più grande; ci siamo riusciti in un lasso di tempo molto breve con i risultati notevoli che conoscete per la prima metà dell’anno. E abbiamo lavorato a preparare il piano strategico che presenteremo il primo marzo. Su tutti questi punti, sì, sono molto soddisfatto».

Avete scelto di puntare sul valore delle auto più che sui volumi, anche a costo di far salire i prezzi. È stata la scelta giusta?
«La strategia del valore riflette prima di tutto una forma di rispetto per il lavoro dei nostri dipendenti. Nel 2013-2014, analizzando cosa dovevamo fare per trasformare Psa, capimmo che non era normale vendere i nostri prodotti a un prezzo più basso della concorrenza. Svenderli non andava bene. Le auto di qualità meritano di essere vendute al prezzo di mercato. Da allora, abbiamo fatto progressi spettacolari nella qualità dei nostri prodotti e servizi. Ora siamo alla pari con i migliori del mondo. La crescita delle vendite è il risultato di questa strategia della qualità, non un obiettivo in sé».

Non c’è il rischio prima o poi di tagliar fuori i ceti medi, che non possono comprare auto nuove da quasi 30mila euro?
«Il rischio c’è, se non riduciamo i nostri costi. Ma sono anche le nuove tecnologie a far salire i prezzi, in particolare le tecnologie elettriche, che sono del 50% più costose di quelle dei motori termici».

Quando prevede un ritorno alla normalità per i microchip?
«Questa crisi durerà almeno fino alla fine dell’anno. A partire dall’estate, la nuova capacità di produzione creata nel mondo inizierà a riportare equilibrio tra domanda e offerta».

A voi la mancanza di semiconduttori quante vendite di auto in meno è costata?
«L’impatto sui volumi di produzione dell’industria automobilistica globale è del 15-20%. Davvero tanto. Dobbiamo rivedere il nostro modello di business e pensare di ottimizzare la parte ingegneristica, per metterci al riparo da problemi simili in futuro».

Trova che la Commissione europea abbia un approccio ragionevole alla transizione energetica o stia ponendo fine ai veicoli a combustione troppo in fretta? Entro il 2030, Peugeot, Opel, Fiat venderanno solo auto elettriche al 100%... Un obiettivo di emissioni di CO2 che rispetti il principio della neutralità tecnologica non sarebbe stato più di buon senso?
«Ovviamente rispettiamo le leggi e quindi combatteremo per essere i migliori con i fattori che ci vengono dati, o imposti. Ma l’elettrificazione è una tecnologia scelta dai politici, non dall’industria».

Perché dice questo?
«Perché c’erano modi più economici e veloci di ridurre le emissioni. Il metodo prescelto non permette ai costruttori auto di essere creativi per trovare idee diverse. È una scelta politica».

Irragionevole, a suo avviso?
«La nostra battaglia ora è volta a limitare al massimo l’impatto dei costi supplementari del 50% dei veicoli elettrici. Significa avere in cinque anni aumenti di produttività medi del 10% all’anno, mentre l’industria automobilistica, in particolare in Europa, raggiunge tra il 2% e il 3%. In sostanza dobbiamo passare dal 2% o 3% al 10%. A Stellantis ci guida uno spirito competitivo e vedremo tra qualche anno quali produttori saranno sopravvissuti e quali no. Tra dieci o quindici anni conosceremo anche i risultati reali dell’elettrificazione in termini di riduzione delle emissioni di gas serra. Per dirla semplice, non guardare l’intero ciclo di vita delle auto elettriche è molto riduttivo. Non va perso di vista il fatto che ci saranno conseguenze sociali e rischiamo di perdere la classe media, la quale non potrà più comprare auto. Quindi è troppo presto per dire se l’approccio europeo è ragionevole».

Però lei sta esprimendo un notevole scetticismo...
«La grande questione è l’approccio globale alla qualità ambientale dell’elettricità consumata e noto che di fatto ciò rimette l’energia nucleare nell’agenda ad opera degli ambientalisti. Dobbiamo anche parlare dell’impronta di CO2 delle batterie. Con il mix energetico dell’Europa, un veicolo elettrico deve percorrere 70mila chilometri prima di compensare l’impronta di CO2 creata dalla fabbricazione della batteria. Solo a quel punto inizia ad allargare il divario con un veicolo ibrido leggero. Sappiamo anche che un veicolo ibrido leggero costa la metà di un veicolo elettrico. Alla fine, è meglio accettare auto ibride termiche molto efficienti in modo che rimangano accessibili e forniscano un beneficio immediato in termini di CO2, o è necessario avere veicoli al 100% elettrici che le classi medie non potranno permettersi, chiedendo intanto ai governi di continuare ad aumentare i loro deficit di bilancio per fornire incentivi? Questo è un dibattito sociale che mi piacerebbe avere, ma per ora non lo vedo».

In sostanza lei dice che dal punto di vista industriale, le cose si stanno muovendo troppo in fretta...
«È ovvio che se vietiamo la vendita di veicoli termici in Europa a partire dal 2035, come è stato deciso, dovremo iniziare a trasformare tutte le fabbriche molto rapidamente. Noi di Stellantis abbiamo già iniziato ad affrontare questa svolta. Senza una transizione graduale, le conseguenze sociali saranno profonde. Ma noi non siamo soli. Abbiamo un intero ecosistema di fornitori intorno a noi. E dovranno muoversi velocemente come noi».

Chi dovrebbe pagare quel 50% di costi aggiuntivi dell’auto elettrica? Gli Stati, i consumatori? Per quanto tempo chiede incentivi?
«Bisognerebbe che gli incentivi fossero mantenuti almeno fino al 2025. Ma non credo che i governi potranno continuare a sovvenzionare la vendita di veicoli elettrici ai livelli attuali, non è sostenibile dal punto di vista del bilancio. Quindi torniamo al rischio sociale. È la brutalità del cambiamento che lo crea. Se gli Stati riescono ad accompagnare questa transizione con delle sovvenzioni per cinque anni, forse ce la caveremo. Altrimenti si fanno prendere più rischi sociali all’insieme della cittadinanza».

In quali paesi europei Stellantis creerà impianti di batterie?
«Al momento, di deciso c’è una gigafactory in Francia, un’altra in Germania e stiamo negoziando con il governo italiano, su Termoli, ma non abbiamo ancora concluso».

Tesla nel 2021 ha venduto meno di un milione di auto, ma il suo valore di borsa è superiore a quello di Stellantis, Toyota, Ford, GM, Volkswagen, Daimler e BMW messi insieme, che invece vendono diverse decine di milioni di modelli all’anno. Il mercato stia dando un giudizio equilibrato?
«Ho un enorme rispetto per il lavoro notevole di Tesla e di Elon Musk. Ma è chiaro che il suo valore di borsa non si basa su una realtà fisica. Bisogna anche riconoscere che Tesla non ha il problema di legacy di tutte le compagnie automobilistiche che hanno contribuito alla ricchezza dell’Europa e del Nord America nell’ultimo secolo. Tesla non deve gestire gli stessi vincoli politici e sociali».

Lei ha annunciato che non ci saranno chiusure di impianti in Europa. È ancora valida questa promessa? E si applica anche alla vendita di siti?
«Chiudere significa mettere un lucchetto alla porta e mandare tutti a casa. Non l’abbiamo fatto. E se posso evitarlo, lo eviterò. Di solito mantengo le mie promesse, ma dobbiamo anche restare competitivi. Il futuro dei nostri siti dipenderà anche dai vincoli politici sulla decarbonizzazione in Europa e dalle sue conseguenze sul mercato dell’auto».

L’Italia ha i costi di produzione più alti. I miglioramenti richiesti sono stati raggiunti? Se non lo fossero, come agirà?
«Un anno fa, ho notato che in Italia il costo di produzione di un’auto era significativamente più alto, a volte doppio, rispetto alle fabbriche di altri Paesi europei, nonostante un costo del lavoro più basso. Questo ha a che fare con l’organizzazione della produzione, che va migliorata. Se applichiamo all’Italia le buone pratiche che esistono nel nostro gruppo, l’Italia stessa avrà un buon potenziale. Un problema particolare che la riguarda è il prezzo fuori misura, eccessivo, dell’energia. Abbiamo avuto una discussione estremamente virulenta con i fornitori di energia su questo punto. Rispetto ad altri Paesi dove produciamo, salta all’occhio».

Ma i problemi di costi di produzione si stanno risolvendo o no?
«Ci vuole un po’ di tempo perché le cose vengano messe in pratica: ne riparleremo alla fine del 2022. Qualsiasi approccio brutale sarebbe stato inopportuno, bisogna prima analizzare e capire».

Si dice che lei abbia raggiunto 80mila vendite di auto su Internet nel 2021. I concessionari sono il passato?
«Se non fanno felici i loro clienti, lo saranno. Ciò che sta effettivamente cambiando, è che i produttori non potranno più permettersi di sostenere i concessionari in un contesto di aumento dei costi. Non abbiamo più bisogno di avere showroom di duemila metri quadri, vere e proprie cattedrali, per presentare i modelli. Quei costi non corrispondono più alla realtà di oggi. Per i concessionari, è l’occasione per compiere una svolta verso la qualità del servizio e la frugalità».

Come va con John Elkann, il presidente di Stellantis?
«Sta andando molto, molto bene. Ognuno di noi ha il proprio ruolo da gestire, ma comprendiamo tutti l’importanza storica di quello che stiamo facendo. Lasciare che eventuali divergenze inquinino la costruzione di Stellantis è escluso. John Elkann e io stesso stiamo facendo del nostro meglio per guidare la creazione di Stellantis e ottenere risultati».

Lei è stato un forte sostenitore dello smart working a Psa e ora lo è a Stellantis. È utile?
«Trovo che lo smart working sia molto più efficiente del lavoro in presenza. Inizio a lavorare alle 7 del mattino e quando finisco la mia giornata la sera sono stanco perché il ritmo è incredibile, di un’efficienza diabolica! Ma la vera sfida è quella di creare anche occasioni di incontro tra le persone».

Lei pratica uno sport iper-competitivo, l’automobilismo. Ha qualcosa a che fare con il suo stile di gestione? Ed è vero che stacca e va a casa ogni giorno alle sei di sera?
«Il senso della competizione e la mia volontà di guidare sempre la mia squadra alla vittoria viene dallo sport, questo è poco ma sicuro. Quando uno è appassionato di uno sport e ha un’attività del tempo libero a cui tiene, ciò permette di gestire l’equilibrio tra famiglia, attività professionale e tempo libero. È l’equilibrio che permette di ottenere dei risultati. I manager che lavorano sette giorni su sette e 16 ore al giorno hanno un enorme margine di miglioramento nel loro ruolo».

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