24 giugno 2019 - 08:39

Bergamo, il ragazzo musulmano
diventato carabiniere: «Questa è vera integrazione» |Foto

L’aneddoto: «Ero nell’esercito a Roma: sono intervenuto in stazione, dove un uomo aveva iniziato a urlare “Allah Akbar”»

di Giuliana Ubbiali

Badar Eddine Mennani tra i genitori alla cerimonia Badar Eddine Mennani tra i genitori alla cerimonia
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Papà Salah gli ha messo gli alamari, ma l’ultimo tocco perché l’alta uniforme fosse perfetta è stato di mamma Khadija. Il loro primo figlio Badar Eddine Mennani, 23 anni, è diventato carabiniere. Sono andati tutti da Chiuduno a Torino, per la cerimonia di ieri mattina. Mamma, papà, le sorelle Mariam e Manal, e il fratello Amin. Hanno 22, 16 e 17 anni. La prima studia Ingegneria all’Università di Bergamo, gli altri due al liceo scientifico.

Badar è ancora emozionato, nel pomeriggio, al telefono. È nato a Santa Maria Capua Vetere, Caserta, dove si è diplomato tecnico della comunicazione. Ma poi il padre ha perso il lavoro e l’ha trovato in Bergamasca. Via, tutti dal sud al nord, quando lui aveva 18 anni. Badar è italiano, così come il suo accento. Di marocchino ha la famiglia, le tradizioni (la sorella all’Università indossa il velo), la lingua e la religione. «Sì, sono musulmano praticante», ne va fiero. Anche perché alla scuola per diventare carabiniere, a Torino, la religione non è stata un ostacolo. Anzi. «Ho fatto il Ramadan, andavo a pregare alla moschea di Torino, i comandanti sono stati disponibili rispetto alle mie esigenze e hanno spesso chiesto, per capire». Badar si è sentito un esempio. «I miei colleghi erano stupiti perché, nonostante il digiuno, riuscivo a studiare per gli esami. Ho trasmesso la forza anche a loro». Sa che essere un carabiniere musulmano e marocchino lo rende speciale. È un doppio anello per l’integrazione, con gli italiani (di origine) e con chi arriva dall’altra parte del Mediterraneo. «Mi sento un esempio importante anche per i miei coetanei di origini simili alle mie che sono allo sbaraglio. C’è comunque ancora bisogno di integrazione, non sempre mia sorella con il velo viene presa bene». Sa anche che in una società multiculturale ha uno strumento in più. La lingua araba. L’ha già sperimentato. È entrato nei carabinieri passando dall’esercito, come volontario. Era a Roma, tra i militari dell’operazione «Strade sicure».

Il 16 settembre 2017 si è imbattuto in uno di quegli episodi che possono scatenare il panico, di questi tempi. «Alla stazione di Trastevere un uomo urlò “Allah Akbar”, la conoscenza dell’arabo è stata utile per comunicare con lui». L’ha portato sul primo binario, lontano da tutti. Lo sconosciuto era senza documenti, e senza esplosivo. Arrivati i rinforzi, è stato portato in caserma. Per questo intervento, il soldato Badar ha ricevuto un encomio. È stato il primo a stretto contatto con i carabinieri.

Ma non ha meditato lì di indossare la divisa nera con le bande rosse. «L’ho voluto fin da bambino. La realtà in cui vivevo, a Caserta, non era tranquilla. Vedevo i carabinieri in azione tutti i giorni e pensavo che sarei diventato uno di loro». Lo è. Lo aspetta il tirocinio e poi di nuovo la scuola. Ora è un pezzo dello Stato italiano che porta con sé la sua storia familiare: «Voglio diventare maresciallo, entrare in un nucleo investigativo. E, sì, l’arabo può essere utile».

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