25 agosto 2018 - 21:04

Salvini indagato per sequestro di persona, arresto illegale e abuso d’ufficio. «Non ci fermeranno, vergogna»

Le ipotesi di reato contestate anche al capo di gabinetto del ministero dell’Interno

di Rinaldo Frignani

(Ansa) (Ansa)
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ROMA — Matteo Salvini e il suo capo di gabinetto al Viminale Matteo Piantedosi indagati per sequestro di persona, arresto illegale e abuso d’ufficio. La decisione è stata presa ieri sera dal procuratore di Agrigento Luigi Patronaggio al termine di una giornata cominciata con gli interrogatori a piazzale Clodio di due funzionari del ministero dell’Interno sulla catena di comando che ha portato al divieto di sbarco prima a Lampedusa e poi a Catania dei 177 migranti soccorsi dalla nave Diciotti della Guardia costiera. Gli atti dell’inchiesta sono stati trasmessi per competenza distrettuale alla procura di Palermo che li inoltrerà al Tribunale dei ministri della stessa città. Che a questo punto deciderà chi sentire e quando, mentre «ogni eventuale negativa valutazione delle condotte» di Salvini — spiega Patronaggio — dovrà essere sottoposta all’autorizzazione del Senato (il responsabile del Viminale e vice presidente del Consiglio è infatti un senatore della Lega). «È una vergogna, non mi fermeranno», la reazione a caldo del leader del Carroccio.


La svolta nelle indagini

La svolta nelle indagini è arrivata dopo l’audizione durata tre ore come persone informate sui fatti dei prefetti Gerarda Pantalone e Bruno Corda, rispettivamente capo e vice del Dipartimento libertà civili e immigrazione del ministero dell’Interno. L’ufficio che in caso d’emergenza deve scegliere il porto sicuro per le imbarcazioni italiane, mercantili o militari, sul territorio nazionale. Dall’interrogatorio è emerso che i due funzionari — in particolare Corda visto che il suo superiore era in ferie — avrebbero ricevuto disposizioni dal capo di gabinetto del Viminale in contatto diretto con il ministro. Ma davanti ai pm siciliani in trasferta nella Capitale Pantalone e Corda avrebbero anche confermato che Catania non è stato il «porto sicuro» della Diciotti. È stato solo un approdo tecnico, almeno fino a ieri sera. Insomma la nave della Guardia costiera non era tecnicamente ancora arrivata a destinazione. Per questo motivo i migranti a bordo non sono stati fatti sbarcare, ma è stata assicurata assistenza e solo accoglienza a situazioni particolari.

«Chi ha vietato lo sbarco?»

I magistrati, che hanno ascoltato anche funzionari del ministero dei Trasporti e personale militare della Guardia costiera per ricostruire quanto accaduto negli ultimi dieci giorni, hanno chiesto a Pantalone e Corda chi ha vietato lo sbarco e se loro stessi sono stati coscienti che in quel modo si sarebbero potuti configurare dei reati. I prefetti avrebbero risposto di essersi attenuti alle disposizioni dei superiori e di aver agito secondo i regolamenti, anche se per giorni il ministro dell’Interno Matteo Salvini ha ripetuto pubblicamente che era suo l’ordine di non far scendere i migranti in attesa di un impegno dell’Europa sulla loro redistribuzione.

Lo «scalo tecnico»

La procedura operativa che regola la catena di comando in situazioni d’emergenza in acque italiane è quella del 2005, con il Centro nazionale di controllo — struttura interforze riunita nella Sala Iavarone del Polo Tuscolano, a Roma — che incarica il Dipartimento di individuare un porto sicuro per lo sbarco dei migranti. In questo caso decisivo sarebbe stato l’intervento del ministro dei Trasporti Danilo Toninelli, che ha autorizzato l’attracco a Catania della nave della Guardia costiera. Per il Viminale però si è trattato solo di uno «scalo tecnico» durante il quale, proprio come è successo a bordo, nessuno dei 177 è stato identificato. Una procedura che ha lasciato aperta per qualche giorno la possibilità di invocare l’aiuto dei Paesi europei perché in caso contrario, come prevede il Regolamento di Dublino, i migranti sarebbero dovuti restare tutti in Italia.

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