Bruno Bolchi morto: prima figurina Panini, capitano dell’Inter a 21 anni, era il «Maciste» del calcio

di Redazione Sport

Centrocampista milanese, ha giocato anche con Atalanta e Torino. Da allenatore, è stato protagonista del Bari dei miracoli. «Ma la mia figurina l’ho solo su Whatsapp»

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Il calcio dice addio a Bruno Bolchi. È morto nella tarda serata di ieri, martedì 27 settembre 2022, a 82 anni in un ospedale di Firenze dopo una lunga lotta con un tumore che aveva domato anni fa. Nato a Milano il 21 febbraio 1940 — di viale Monza 87, prima del ponte della ferrovia— , viveva da tempo a Pieve a Nievole (Pistoia).

Esordì in Serie A con l’Inter, a 18 anni, diventandone poi capitano — era la squadra di HH, Helenio Herrera — tre anni dopo. Giocò poi col Verona, l’Atalanta e il Torino. La sua carriera di calciatore si concluse nel campionato 1970/71, a 30 anni, dopo oltre 200 presenze e 12 reti, e iniziò quella di allenatore, tecnico dei miracoli con il Bari 1983, quello che centrò due promozioni consecutive dalla C alla A e la semifinale di Coppa Italia battendo Juventus e Fiorentina. Poi, guidò anche una dozzina di altre squadre tra cui Cesena, Lecce e Reggina (centrando altre promozioni) e tra le altre Pistoiese, Catanzaro e Genoa.

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Soprannominato (da Gianni Brera per la straordinaria somiglianza con Gordon Scott, l’attore di Tarzan e, appunto, di Maciste) «Maciste» per il fisico possente, era un personaggio carismatico leale e generoso ed era famoso anche per essere stato la prima figurina Panini, di cui però con rammarico raccontava al Corriere di non avere copie cartacee. Il suo scatto divenne poi introvabile come la mitica figurina di Pizzaballa, che tra l’altro fu suo compagno di squadra a Bergamo.

Bolchi da allenatore ha raccontato di avere odiato la regola delle cinque sostituzioni, ricordando quando non se ne faceva nemmeno una («in 11 contro 11 se uno si faceva male si rimaneva in 10. Iniziavi la partita cosciente che avresti dovuto arrivare alla fine, saper dosare le energie era una qualità»).

Inoltre, ha sempre sostenuto che nonostante i cambiamenti dei tempi, gli atleti siano sempre gli stessi: «Oggi i calciatori sono uguali a vent’anni fa, e l’allenatore è grande se risolve i piccoli problemi quotidiani — raccontava — La lite in famiglia, la ripicca tra compagni, il piatto di pastasciutta da levare... con l’aggravante se mai che questi rispetto a noi guadagnano vagonate di soldi, cifre spaventose. Il Mago (Herrera, ndr) e Rocco tenevano il fuoco acceso sotto la partita tutta la settimana, poi il lunedì andavano a cena insieme, da amiconi. Potevano essere sinceri, allora, era un altro calcio. Oggi, se ti scappa mezza frase di troppo brucia una città».

28 settembre 2022 (modifica il 28 settembre 2022 | 14:03)