16 luglio 2018 - 21:46

Nicaragua, agguato a un vescovo
La preoccupazione del Papa

Monsignor Mata è stato attaccato dalle bande paramilitari vicine al regime e ha fatto appena in tempo a uscire dall’auto e rifugiarsi illeso con il suo autista in una casa

di Gian Guido Vecchi

shadow

CITTÀ DEL VATICANO Francesco è «molto bene informato» e «molto preoccupato», spiegano in Vaticano. Del resto la situazione in Nicaragua sta precipitando, i paramilitari legati al dittatore Ortega reprimono le proteste nel sangue e ormai anche la Chiesa è nel mirino, alla lettera. Le aggressioni al cardinale di Managua e al nunzio, le chiese assediate, e ora le pallottole. Monsignor Abelardo Mata, 72 anni, vescovo di Estelí, ha fatto appena in tempo a uscire dall’auto e rifugiarsi illeso con il suo autista in una casa ai margini della strada. Le immagini che arrivano dal Paese centroamericano mostrano una monovolume scura con le gomme a terra, si vede un vetro infranto. Il vescovo, l’altro giorno, stava rientrando dalla provincia di Masaya verso Managua quando la sua auto è stata «crivellata da colpi d’arma da fuoco» a Nindirí, poco distante dalla capitale. «Ho potuto parlargli e finalmente è fuori pericolo, grazie a Dio», ha fatto sapere il vescovo ausiliare di Managua, Silvio Baez.

L’Osservatore Romano ricostruisce l’attacco all’ex vicepresidente dei vescovi nicaraguensi, «ritenuto uno degli ecclesiastici più critici del governo sandinista», riporta la «conferma» di una «fonte locale» e scrive: «L’agguato è stato perpetrato da una squadra di paramilitari, le cosiddette “turbas”, vicine al presidente Daniel Ortega». E già il fatto che il quotidiano della Santa Sede apra l’edizione di oggi con il Nicaragua mostra l’attenzione per una crisi che da mesi tiene occupata la diplomazia vaticana. «Tutto questo è triste e deplorevole e spero possa essere fermato, non è possibile che questa situazione continui», dice il cardinale Leopoldo Brenes: l’arcivescovo di Managua denuncia anche l’irruzione di paramilitari in una chiesa parrocchiale nel municipio di Catarina, e ripete il suo appello «al governo e ai capi della polizia» perché fermino «gli attacchi contro la popolazione» e «rispettino le chiese parrocchiali».

Si è rischiato «un nuovo caso Angelelli», mormorano Oltretevere, ed è significativo il riferimento al «Romero d’Argentina» assassinato dai militari nel ’76, il vescovo che difendeva la povera gente dalle violenze e presto sarà beato. Può sembrare un paradosso, ma il crepuscolo sanguinoso di Ortega somiglia sempre più alla parabola della «Fattoria degli animali» di Orwell e quello che nel 1979 fu il giovane e vincente leader rivoluzionario sandinista ha da tempo assunto i tratti del vecchio nemico: tornato al potere nel 2007, al terzo mandato consecutivo, governa assieme alla moglie vicepresidente Rosario Murillo e non intende mollare fino al 2021.

La rivolta popolare è cominciata il 18 aprile. Da allora la repressione governativa ha fatto oltre 350 morti e migliaia di feriti. I vescovi hanno cercato e cercano di sostenere un dialogo tra il governo e le opposizioni, la Chiesa aveva istituito un «tavolo per il dialogo e la testimonianza», ma Ortega rifiuta ogni compromesso, soprattutto non ne vuole sapere di elezioni anticipate a marzo. I governativi accusano i leader cattolici di esser parte del «piano golpista». La conferenza episcopale del Nicaragua, sabato, ha denunciato «la violenza dei paramilitari», compresi «sequestri e detenzioni arbitrarie», e «la mancanza di volontà politica del governo di dialogare sinceramente e cercare processi reali verso una democrazia». All’inizio della crisi, l’11 maggio, il Papa aveva scritto una lettera ad Ortega: «Non è mai troppo tardi per la riconciliazione». Il 3 giugno, all’Angelus, ha espresso il suo «dolore» per «le gravi violenze, con morti e feriti, compiute da gruppi armati per reprimere proteste sociali», e aggiunto: «La Chiesa è sempre per il dialogo, ma questo richiede l’impegno fattivo a rispettare la libertà e prima di tutto la vita». Il 30 giugno ha ricevuto in Vaticano il cardinale Brenes e l’indomani, all’Angelus, è tornato a pregare per «l’amato popolo del Nicaragua» e il dialogo «sulla strada della democrazia».

Per tutta risposta, il 9 luglio, il cardinale Brenes e il nunzio Sommertag sono stati aggrediti al grido di «terroristi» da «gruppi filogovernativi» che volevano entrare nella basilica di Diriamba, dove si erano rifugiati alcuni oppositori. Cardinale e nunzio sono poi riusciti a fermare dopo quattordici ore l’assedio di sabato alla chiesa della Divina Misericordia a Managua, dove si erano rifugiati più di duecento studenti. I paramilitari, prima di mettersi a sparare contro la chiesa, avevano attaccato il campus universitario e ucciso due ragazzi.

© RIPRODUZIONE RISERVATA
ALTRE NOTIZIE SU CORRIERE.IT