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Giulia Maria Crespi: addio alla signora del FAI che conservò la bellezza del nostro Paese

Giulia Maria Crespi il 23 maggio 2012 a Milano. (Getty Images)

Dalla battaglia per il rinnovamento del Corriere della Sera all’impegno per la valorizzazione del patrimonio culturale e ambientale: educata secondo i principi della borghesia lombarda, in base ai quali “chi ha avuto molto, deve dare molto”, come amava ripetere, Giulia Maria Crespi, morta a Milano all’età di 97 anni, ha attraversato il Novecento da protagonista.Il Fai e Il Corriere

E ha lasciato il segno, come ricorda oggi il Fondo per l’Ambiente Italiano, di cui è stata fondatrice nel 1975 e fino all’ultimo anima ispiratrice, per “una creatività inesauribile, una riluttanza per i compromessi, una passione per il dialogo, una singolare unità di ideali e concretezza, una noncuranza per le difficoltà”.

Imprenditrice e mecenate, discendente di una importante famiglia di cotonieri lombardi, proprietari del Corriere della Sera, tanto potente quando illuminata, una donna secondo cui la ricchezza non andava vissuta come una colpa, ma neppure come un ottuso privilegio. 

La sua casa nella Milano borghese

La sua casa in corso Venezia era il cenacolo intellettuale della Milano borghese. E chi era invitato là, si sentiva “accettato” dalla Milano del potere. Ma non era l’obiettivo della padrona di casa, che invece amava la vita e ne era curiosa. Ancora adesso «incapace di camminare senza bastone», come si descriveva lei, era sempre pronta a riceve ospiti. Magari uno alla volta. 

«Chi ha tanto deve restituirlo»

Questa meravigliosa signora quasi centenaria, secondo quanto racconta chi la  conosceva davvero, odiava l’ostentazione e possedeva una lucidità spiazzante e un sorriso aperto, spesso ironico. Ma mai ingenuo: sapeva di essere stata una privilegiata e il suo credo era «chi ha tanto deve restituirlo». 

E questo qualcosa lei lo restituì contribuendo a creare il Fai, il Fondo ambiente italiano. Una missione: la difesa della bellezza. 

Tra Montanelli e Spadolini

Nata a Merate, in provincia di Lecco, nel 1923, a partire dalla metà degli anni sessanta, dopo la morte degli zii Mario e Vittorio Crespi, gestì al posto del padre Aldo gravemente malato, la proprietà del Corriere della Sera. E fu in quegli anni che si guadagnò il soprannome di “zarina” da Montanelli, per la contestata gestione del giornale.

Soprattutto dal 1961 al 1974 non c’era decisione che non portasse la sua impronta. Fu lei che nel 1968, al posto di Alfio Russo mise Giovanni Spadolini, pentendosene quasi subito, fino a liberarsene quattro anni dopo: «L’uomo mi era simpatico, era colto e facondo – racconta – e Montanelli ne appoggiò la candidatura. Fu un errore madornale. Scoprii nel corso della sua direzione, il suo lato vanitoso, prolisso, ossequioso nei riguardi del potere».

Spadolini venne sostituito da Piero Ottone, apertamente in contrasto con Montanelli, motivo che decretò il divorzio del giornalista dal Corriere.

L’ambiente, una missione

Fu in quel periodo che la Crespi cominciò a riflettere sull’ambiente, sempre più deteriorato e, la scoperta di un tumore, probabilmente velocizzò il processo: ci si ammala perché “il mondo è malato” era il pensiero di Crespi. E il rapporto con Italia Nostra e con il Fai, nasce proprio in questo contesto: perché ci si prende cura del pianeta non oltraggiandolo, ci si prende cura della bellezza che l’uomo ha saputo realizzare, tentando di conservarla. Insomma biosgna restituire all’ambiente tutto ciò che l’uomo aveva depredato.

Forza Greta

Non cambiò mai idea, nemmeno adesso a 97 anni, anzi. Proprio lei ammirava Greta Thunberg e la sua difesa di ciò che al mondo è più prezioso, cioè il mondo stesso.

Due matrimoni e un figlio perso

Si sposò due volte: con il conte Marco Paravicini, padre dei suoi gemelli Aldo e Luca, morto in un incidente 4 anni dopo, e poi con l’architetto Guglielmo Mozzoni. Nel corso della sua vita ha ricevuto numerosi riconoscimenti: il Presidente Carlo Azeglio Ciampi le ha conferito l’onorificenza di Cavaliere di Gran Croce dell’Ordine al merito della Repubblica Italiana. 

Per Einaudi ha pubblicato la sua autobiografia “Il mio filo rosso“, cinque anni fa: «La vita mi ha dato molto – scrive nel libro – ma quello che mi ha dato se l’è ripreso con tanto di interessi, dal momento che le cambiali in bianco prima o poi vanno onorate. Sì, perché ho avuto il cancro, anzi, ne ho avuto sei». Malattia che ha sopportato fino all’ultimo, meglio dell’infinito dolore per la morte del figlio Aldo, scomparso a maggio in un incidente stradale.

Il “grazie” del Fai

Il Consiglio di amministrazione e le delegazioni del Fai hanno dato la notizia della sua morte “con unanime riconoscenza” in una nota: “La chiarezza del suo insegnamento, il solco tracciato, lo stile e l’entusiasmo infuso in qualsiasi cosa facesse indicano senza incertezze la strada che il Fai è chiamato a seguire per il bene del Paese, fissata nella missione che lei stessa contribuì a definire».

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