Roma

Roma, niente calcio per Olivia. "Solo maschi". La rivolta della bambina di sette anni. "E sono pure forte"

Iscrizione negata per la piccola nel centro sportivo a Trastevere. Le femmine possono (Dpcm permettendo) fare corsi di volley, di ginnastica, di danza e di nuoto, di arti marziali, ma non di pallone. La spiegazione? Non c'è
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Olivia ha sette anni e ama il calcio. E' “pure forte”, dice lei, e vorrebbe esserlo ancora di più, ma secondo il centro sportivo sotto casa sua, nel cuore di Trastevere, il calcio non è cosa per bambine: iscrizione negata. A Roma Uno, impianto sportivo comunale, annesso al palazzo dell'ex Gil in largo Ascianghi, le femmine possono (Dpcm permettendo) fare corsi di volley, di ginnastica, di danza e di nuoto, di arti marziali, ma non di calcio. Nemmeno in una squadra mista: le pari opportunità non hanno raggiunto il rettangolo verde davanti al Ministero dell'Istruzione.

La bambina non demorde e durante le giornate di allenamento dei suoi coetanei (maschi), si presenta al campetto, mettendosi polemicamente a saltare alla corda in disparte e lanciando occhiate di ghiaccio al mister. La piccola aspirante calciatrice ha anche scritto una lettera a Repubblica, con un disegno che illustra il suo concetto di sport inclusivo: bambini e bambine a rincorrere il pallone tutti insieme a centrocampo, e in un angolo l'arbitro dai lunghi capelli rossi. “Adoro molto il calcio e sono pure forte – scrive in stampatello su un foglio a quadretti – ma non capisco perché la scuola sotto casa fa giocare i maschi e non le femmine”.

Olivia ha ragione: la società non dà spiegazioni sul perché la scuola calcio sia interdetta alle bambine. Non esiste un regolamento che vieti la formazione di gruppi misti fino ai circa 12 anni (quando poi, per ragioni di sviluppo fisico, vengono formate squadre maschili e femminili). Anzi, la Figc incentiva la partecipazione ad attività giovanili con almeno una squadra mista, e dopo i mondiali di calcio Francia 2019, con le Azzurre di Milena Bertolini che hanno fatto la storia arrivando ai quarti di finale, la Federazione calcio ha stimato un +40% di iscrizioni di appassionate di sesso femminile.

Quella di Roma Uno non è una scelta condivisa dai coach, lo conferma uno di loro al telefono: “Non mi dispiacerebbe affatto allenare maschi e femmine insieme”, dice. Non mancano gli spogliatoi distinti o altri fattori che possano in alcun modo mettere in “imbarazzo” i piccoli sportivi, tanto più che in questo momento di emergenza sanitaria l'accesso ai locali interni è interdetto, si arriva a scuola calcio già in pantaloncini e si torna a casa per fare la doccia. Ciò di cui si sente davvero la mancanza, in tempi di Covid, con buona parte delle palestre scolastiche adibite a aule, sono proprio i luoghi dove praticare sport. E che la struttura in questione sia di proprietà del Comune – con prezzi più bassi rispetto alle scuole private – non fa che aggravare quella che appare come un'insensata discriminazione di genere.

Come se non fosse già sufficiente il fattore sociale, lo stereotipo duro a morire degli sport “in rosa”, che mette a dura prova tanto i maschietti che amano danzare quanto le femminucce che vogliono tirare due calci al pallone. Olivia lo ha capito molto presto. “Io non voglio fare la fine della mia amica Maddalena – scrive – che giocava all'asilo, ma poi tutti le dicevano che il calcio era da maschi e smise di giocare. So che il calcio è un gioco da fare tutti insieme, e giustamente ho il diritto di farlo anch'io”.