Mauro Forghieri è morto, l’ingegnere della Ferrari vinse 7 titoli costruttori in F1

di Daniele Sparisci

Fu scelto da Enzo Ferrari come capo del reparto corse di Maranello a soli 27 anni . Con la Rossa vinse anche 54 Gp e 4 titoli mondiali piloti

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Addio «Furia», corri lassù nel cielo adesso. È morto nella sua Modena Mauro Forghieri, genio dell’automobile, il progettista che ha reso grande la Ferrari. Aveva 87 anni e fino all’ultimo era rimasto curioso e attento sulle vicende della Formula 1 e delle corse. Lui che aveva scritto la storia, vincendo con la Ferrari 7 titoli costruttori, 4 piloti e 54 Gp. Forghieri era entrato a Maranello subito dopo la laurea in ingegneria meccanica a Bologna e fu rapidamente promosso nel 1962, a soli 27 anni, direttore tecnico, dopo l’allontanamento di Carlo Chiti e dei sette dirigenti della «congiura», grazie soprattutto ad una personalità fortissima.

Il Drake lo aveva puntato da subito — già conosceva il padre Reclus — da quando nel 1957 , ancora studente, inizia a frequentare la fabbrica: «Ero una specie di stagista — raccontava — anche se allora non si chiamavano così, tutte le settimane mentre studiavo alla biblioteca, mi era stato assegnato un tavolo con calcoli e disegni, Ferrari veniva e mi chiedeva del lavoro. Cercava di capire che tipo fossi».

Di lui raccontava Franco Gozzi, storico braccio destro del Drake: «Ferrari poteva discutere in modo molto ma molto animato con tutti i suoi collaboratori, ingegneri o tecnici che fossero. Mai con Mauro del quale accettava la superiorità. Soltanto se si spingeva troppo in alto, allora lo bloccava».

Lo piangono tutti, a cominciare da Luca di Montezemolo che giovanissimo affiancò l’Ingegnere per riportare il Cavallino sul tetto del mondo, con Niki Lauda e Jody Scheckter: «Con Mauro scompare uno dei grandi tecnici italiani, ma anche un amico e un collaboratore con cui ho condiviso anni meravigliosi e indimenticabili successi sportivi». Piero Ferrari, vicepresidente di Ferrari: «Quando sono entrato in azienda, nel 1965, condividevo l’ufficio con il Cavalier Giberti, il primo dipendente della Ferrari, e Mauro Forghieri, che era stato assunto qualche anno prima, era nell’ufficio accanto. Ci separavano dieci anni di età e un vetro. Di fatto ci vedevamo tutto il giorno tutti i giorni. Forghieri metteva energia e passione in ogni sua attività. Aveva un carattere sanguigno e ricordo che in più di una di quelle interminabili riunioni di gestione sportiva, che iniziavano alla sera e finivano di notte, mi sono trovato a fare da mediatore tra lui e mio padre. Se ne va un pezzo di storia».

Forghieri era una figura carismatica, dotato di una competenza e di una visione tale da fargli guadagnare un’autonomia operativa che altri in passato si erano sognati. Era esigente, sapeva essere duro (da qui il soprannome «Furia», ma la rabbia gli passava in fretta), ma aveva il gusto dell’ironia, andava oltre ricercando soluzioni che hanno cambiato completamente le corse. Fu lui per esempio a sviluppare il primo prototipo di cambio semi-automatico (quello con le levette sul volante, che oggi hanno anche le utilitarie). Quando Gilles Villeneuve lo provò a Fiorano minacciò Forghieri: «Se mi montano questo attrezzo smetto di correre, mi leva il piacere di cambiare marcia…».

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Forghieri con Lauda (Rcs Quotidiani)

Le corse non erano la sua aspirazione naturale, dopo la tesi avrebbe voluto trasferirsi negli Usa per sviluppare motori aeronautici, aveva già un accordo con una grossa azienda americana. Ferrari lo bloccò e lo portò a Maranello, insieme a un altro giovane genio: Gian Paolo Dallara. Debutta al Gp di Monaco del 1960: «Non avevo compiti particolari, dovevo solo osservare e imparare». Cosa che gli viene facilissima.

Capisce l’importanza di rinnovare i metodi di lavoro della Ferrari, studia i motori a iniezione diretta e concentra le risorse sui telai per competere contro gli inglesi, avanti su questo fronte, mette in campo le sue conoscenze nell’aeronautiche per realizzare una monoscocca con la quale l’ex motociclista John Surtees vincerà il titolo nel 1964 con la Ferrari 158. Protagonista anche delle sfide a Le Mans contro la Ford, «desiderosa di annientarci in tutte le gare dopo il gran rifiuto del Commendatore a vendere l’azienda». Attraversa anni bui in F1, tragedie (quella di Lorenzo Bandini), vive la rivoluzione aerodinamica con la nascita degli alettoni. «Quando lo montammo sulla 312 in occasione del Gp del Belgio, Chris Amon conquistò la pole e Jacky Ickx, appena arrivato, fece il terzo tempo. Sul vecchio circuito stradale di Spa si girava a 245 all’ora, era la conferma che sui curvoni gli alettoni incidevano positivamente sulla stabilità della macchina».

Ma è negli anni 70 che l’opera di Forghieri getta i semi per riaprire il ciclo vincente: fra le sue monoposto più importanti c’è la 312B del 1970: motore V12 piatto di derivazione aeronautica compatto e potente (465 Cv) — «entrava nell’ala di un jet» —, telaio innovativo, pinne sul muso e l’inconfondibile alettone posteriore. È l’anno del titolo assegnato alla memoria a Jochen Rindt, morto a Monza, con Ickx che arriva secondo. «Jochen lo meritava veramente, alla fine sono contento che lo abbia vinto lui» disse Forghieri. Nel 1973 l’incontro con Luca di Montezemolo che avrebbe ricoperto il ruolo di direttore sportivo: «Luca ha subito espresso una qualità che ha sempre mantenuto negli anni: quando incontra una persona intuisce al volo quale sia il modo migliore per confrontarsi. Può trarre il meglio da chi ha di fronte» ha scritto nella sua autobiografia «Trent’anni di Ferrari e oltre» (Ed. Giunti).

Il capolavoro è la Ferrari 312T, quella con cui Niki Lauda riportò nel 1975 il Mondiale piloti (con Regazzoni come compagno di squadra) che mancava dai tempi di Surtees e ricordiamo che l’austriaco era stato preso un anno prima fra lo scetticismo generale. «Nel primo periodo Niki sembrava estremamente tranquillò, poi cambiò con il successo. Le sue doti di pilota e collaudatore erano intatte, ma aveva meno voglia di stare al voltante e di sorbirsi briefing tecnici. Così programmava di partire prima del previsto sul suo jet personale, ma io chiamavo la torre di controllo di Bologna dicendo che il signor Lauda non sarebbe potuto decollare prima del tardo pomeriggio». Enzo Ferrari sorrideva senza intervenire, a Niki doveva molto, avrebbe vinto tre titoli con la Ferrari, e non due, senza l’incidente del Nurburgring.

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La Ferrari 312 T: Lauda vinse il primo Mondiale nel 1975

Nel 1977 Lauda saluta con il titolo e con un contratto già firmato con la Brabham. Quell’onda di trovate geniali proseguì fino al 1979, quando il Drake - come aveva fatto con Lauda- decise di fidarsi di un giovane sconosciuto: Gilles Villeneuve, la «sua scommessa più audace». Al primo test il canadese distrusse i freni dopo tre giri, distruggerà tante altre cose mandando in bestia Forghieri.

In F1 spuntano le «minigonne», Scheckter diventa campione davanti e arriva anche il Mondiale costruttori. È il punto massimo della carriera di Forghieri che nelle stagioni successive si concentrerà sui motori turbo, introdotti in F1 dalla Renault, il debutto avviene sulla 126C. Seguono altre tragedie, quella di Gilles a Zolder nel 1982, dopo l’incidente mortale aprì un’inchiesta interna per capire come migliorare la sicurezza dei telai. Il suo ultimo titolo costruttori è del 1983. L’anno dopo l’Ingegnere «capisce che la situazione del reparto corse, del quale ero ancora capo, è cambiata». Rassegna le dimissioni, Enzo Ferrari ha 86 anni e le respinge. Ma un’epoca sta per chiudersi, Forghieri è fuori dal reparto corse per occuparsi di altri progetti, esce definitivamente da Maranello nel 1986 per dedicarsi a nuove sfide in Lamborghini e Bugatti. Con il Cavallino sempre nel cuore però, fino all’ultimo, con le sue chiamate piene di passioni e di aneddoti. Se ne va un gigante, Mauro Forghieri.

2 novembre 2022 (modifica il 3 novembre 2022 | 12:16)