25 ottobre 2020 - 09:15

Morto Germano Nicolini, il «comandate Diavolo» della Resistenza e simbolo della riconciliazione

Classe 1919, nel Dopoguerra divenne sindaco di Correggio. Nel 1947 fu accusato dell’omicidio di don Umberto Pessina e condannato a 22 anni di carcere: ne scontò solo 10 grazie a un indulto. Fu scagionato in modo definitivo nel 1994

di Riccardo Bruno

Morto Germano Nicolini, il «comandate Diavolo» della Resistenza e simbolo della riconciliazione
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Germano Nicolini, conosciuto come Dièvel, il comandate Diavolo, apriva anche la sua casa di Correggio per raccontare ai giovani cos’era stata la Resistenza, i valori su cui si fonda la Repubblica, la convivenza civile e il rispetto. È morto sabato a 100 anni (era nato a Fabbrico, nel Reggiano, il 26 novembre 1919), dopo una vita esemplare: gloria partigiana, giovane sindaco comunista di Correggio nel Dopoguerra (ma sostenuto anche dai consiglieri Dc), poi accusato ingiustamente dell’omicidio di don Pessina, il carcere, l’assoluzione, la riabilitazione. Il «Diavolo» (si era guadagnato il soprannome fuggendo dai tedeschi, lui stesso raccontava che due sorelle esclamarono stupefatte “L’è propria al dièvel”) era cattolico e comunista, e in un’Emilia divisa e lacerata dopo la guerra di Liberazione non piaceva né a i cattolici né ai comunisti e divenne un facile capro espiatorio. L’accusa infamante dell’omicidio di un parroco, proprio a lui che dopo la guerra come segretario dell’Anpi della sua Correggio volle aprire «una mensa del reduce» accogliendo sia partigiani che ex-fascisti che non si fossero macchiati di crimini.

La lotta partigiana

Nicolini, ufficiale del 3° Reggimento Carri , fu fatto prigioniero l’8 settembre del 1943 dai tedeschi vicino Tivoli. Riuscì a scappare, tornare in Emilia e unirsi alla Resistenza diventando il comandante del terzo battaglione della Brigata Sap «Fratelli Manfredi». Partecipò a diversi scontri, venne ferito, riuscì a sottrarsi ancora una vota ai tedeschi (in quell’episodio che gli valse l’appellativo di «diavolo»). Da subito convinto sostenitore della necessità di uno spirito di conciliazione, difese ex repubblichini dalla giustizia sommaria e come responsabile partigiano del carcere di Correggio respinse il 27 aprile 1945 il primo dei due assalti da parte dei partigiani che volevano prelevare sette fascisti.

Il processo e l’assoluzione

Quindi il capitolo più buio nella sua vita. Il 18 giugno 1946 viene ucciso a Correggio don Umberto Pessina, parroco di San Martino Piccolo. Vengono accusati Nicolini come mandante e altri due partigiani. Il comandante Diavolo viene arrestato il 13 marzo 1947 e condannato a Perugia a 22 anni di carcere (sarà scarcerato nel 1956 grazie a un indulto), e solo nel 1994 — dopo la confessione di un altro ex partigiano, William Gaiti — la Corte di Appello annulla quella decisione denunciando gli errori e le storture del procedimento di primo grado: «La Corte ritiene, in conformità a quanto sostenuto dalla difesa del Nicolini, che una serie di fattori — indagini di polizia giudiziaria condotte con metodi non del tutto ortodossi; lacune e insufficienze istruttorie; una sorta di “ragion di Stato di partito” che ebbe ad ispirare il comportamento di alcuni uomini del PCI; una pressante quanto legittima domanda di giustizia da parte del clero locale, estrinsecatasi però in iniziative al limite dell’interferenza; interventi di autorità non istituzionali e comunque processualmente non competenti – abbia fatto sì che la legittima esigenza di individuare e punire gli autori del grave quanto gratuito fatto di sangue si risolvesse, oggettivamente, in una sorta di ricerca del colpevole a tutti i costi, dando luogo ad un grave errore giudiziario, al quale la Corte ha ritenuto ora di dover porre riparo assolvendo ampiamente gli imputati e restituendoli alla loro dignità di innocenti». Il comandate Diavolo, a chi gli chiedeva di quella vicenda, rispondeva: «Perdonarli? Non si può usare la parola perdono. Ero un bersaglio facile, un giovane sindaco di paese. Hanno colpito me perché si faticava ad accettare che si parlasse di riconciliazione».

La canzone e la strofa corretta

Nel 1996 i Modena City Ramblers gli dedicarono una canzone, Al Dievel. La marcia del Diavolo. Nicolini ne erano onorato ma una strofa non gli piacque, poteva far nascere il sospetto che lui sapeva chi era stato l'assassino e non aveva parlato. La band cambiò il testo, il nuovo disco uscì nel 2005 nell’album Appunti partigiani nel quale lo stesso Nicolini interviene come voce narrante. Allegato c’era un testo di Luciano Ligabue, che ieri lo ha ricordato con un post: «Resistente fino a 101 anni d’età. Resistente anche a tutti i giochini della politica. Giù il cappello». Al cantautore, anche lui di Correggio, non piaceva l’appellativo che lo aveva reso famoso. «Per Nicolini — aveva scritto — non c’è nome di battaglia più infelice che Diavolo». Il comandante dei partigiani che per tutta la vita cercò di tenere insieme cattolici e comunisti. E che ripeteva: «Per me Gesù Cristo è il primo socialista della Storia».

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