24 agosto 2020 - 09:45

È morto Arrigo Levi, il giornalista aveva 94 anni

Consigliere per i problemi internazionali di due presidenti della Repubblica, Carlo Azeglio Ciampi e Giorgio Napolitano, è stato il primo conduttore professionista di un telegiornale italiano

di Marzio Breda

È morto Arrigo Levi, il giornalista aveva 94 anni
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Era orgoglioso della definizione che di lui aveva dato Gaetano Afeltra, anima del Corriere per metà del Novecento: «È un fenomeno alla Vergani». Paragone che teneva insieme impegno e versatilità e soprattutto una straordinaria capacità di lavoro d’alto livello. Questo è stato Arrigo Levi, scomparso ieri a 94 anni. Una vita spesa a onorare il giornalismo in molti ruoli: inviato speciale, corrispondente dall’estero e commentatore per la BBC, La Gazzetta del Popolo, il Corriere, il Giorno per assumere poi la direzione del Tg Rai e della Stampa e essere infine scelto come consigliere da due presidenti della Repubblica, Ciampi e Napolitano.

Diverse vesti professionali nelle quali si rivelò sempre preziosa l’acutezza e la profondità delle sue analisi politiche, sia sul versante italiano che su quello internazionale. Nato a Modena nel 1926 da una famiglia ebraica agiata e cosmopolita, ancora adolescente si rifugia in Argentina per scampare alle leggi razziali. E da lì invia a “Italia Libera” i suoi primi articoli. Con la caduta del fascismo rientra in patria, dove si laurea in filosofia, alternando lunghi soggiorni a Londra. Tra il 1948 e il ’49 partecipa da soldato alla guerra arabo-israeliana (parentesi che ricordava con poche laconiche parole, come “un impegno dovuto”), per dedicarsi poi pienamente al giornalismo, nel quale presto si impone tra le grandi firme.

Il suo comandamento è stato sempre di “combattere i miti”, cioè i totalitarismi, dovunque si trovasse. Ne ha dato ampia prova nelle corrispondenze da Mosca o dagli altri Paesi satelliti dell’Urss, dai quali riusciva a dar voce ai dissidenti, senza paura dei pericoli a cui tale sforzo lo esponeva. Memorabili anche i suoi reportage dal Cile di Allende alla vigilia del golpe militare e dall’America ferita dall’assassinio di Kennedy. Così come è destinato a restare il racconto dell’omicidio del suo vicedirettore alla Stampa, Carlo Casalegno, per mano delle Brigate Rosse. Autore anche di molti apprezzati volumi di saggi, della sua lunga stagione al Corriere Levi amava rievocare il rapporto leale e senza cannibalismi con i colleghi (che si chiamavano Ronchey, Bettiza, Cavallari, Montanelli, Lilli…). Spiegava: “Eravamo tutti rivali e tutti dannatamente nevrotici… eppure, giovani o vecchi, famosi o principianti, meritavamo tutti lo stesso riguardo… in un signorile spirito di colleganza che cancellava le differenze d’età e d’esperienza e che dava spazio e respiro alle nostre ambizioni e alle nostre ansie”…

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