5 luglio 2018 - 22:39

Il viaggio di Moatez, in nave sotto un tir. «Voglio studiare e diventare poliziotto»

Salerno, il 12enne scappato dalla Tunisia per ritrovare il fratello in Toscana

di Fulvio Bubi, nostro inviato a Pellezzano

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PELLEZZANO (SALERNO) Dice «quando ero piccolo», come se adesso fosse grande. Quando era piccolo, Moatez andava con il papà pescatore al porto di Tunisi e vedeva quella grande nave bianca e blu, e tutti i camion in fila che aspettavano di imbarcarsi, e gli piaceva girare tra rimorchi e cabine di guida, e salutava gli autisti sorridendo con gli occhi grandi. Poi un giorno il papà non tornò a casa. Se l’era tenuto il mare, gli spiegò la mamma. Che viveva a fatica per la miseria e per una malattia che la fa muovere poco e male, e adesso, senza il marito, ai figli non poteva dare quasi più niente, nemmeno i soldi per i libri di scuola. E Moatez smise di andarci, a scuola, e smise pure di andare al porto. Ci andò invece suo fratello più grande, si nascose su un camion e riuscì a salire sulla grande nave. E partì.

Nel centro di accoglienza

Anche il viaggio di Moatez cominciò quel giorno. Cominciò con le lacrime che non riuscì a trattenere, ma anche con la decisione che sarebbe partito pure lui. E non «quando sarò grande», ma quando è ancora piccolo, a tredici anni nemmeno compiuti. Ha aspettato solo che il fratello gli facesse sapere dov’era, e dopo tre settimane è tornato al porto ed è tornato a girare tra i camion. Ma non per salutare gli autisti, stavolta. Ha solo pensato a scegliere il rimorchio più alto da terra e ci si è infilato sotto. Ed è rimasto aggrappato lì per quasi due giorni, mica due ore. Quando la security di bordo lo ha trovato, la nave aveva già lasciato Palermo e stava facendo rotta verso Salerno. Moatez è scoppiato in lacrime credendo che lo avrebbero riportato in Tunisia. Era tutto sporco di grasso: gli hanno fatto fare la doccia e piangeva. Era digiuno: gli hanno dato da mangiare e piangeva. Ma quando ha capito che nessuno lo avrebbe riportato indietro ha ritrovato il sorriso. E da una settimana sorride sempre, tra i ragazzi del centro di accoglienza «L’approdo del re», in provincia di Salerno, dove è stato alloggiato in attesa di poter raggiungere il fratello. Che è di tre anni più grande e dopo essere sbarcato a Palermo ha raggiunto Firenze, dove adesso è anche lui in una casa di accoglienza.

I regali

Le autorità diplomatiche tunisine e i servizi sociali dei comuni di Salerno e Firenze stanno lavorando per il ricongiungimento dei due ragazzi. È deciso che andrà Moatez in Toscana, e allora sì che sarà totalmente felice. Perché lui il fratello lo adora. Dice che «è forte, va in palestra, e voglio andarci anche io. So fare la boxe, mi piace tanto». Gli piacerebbe pure tornare a studiare. «Sicuro. Sono venuto qui anche per andare a scuola. In Tunisia non ci andavo più, ma io voglio imparare. E poi voglio diventare poliziotto». Tutto quello che ha ora — i vestiti, le scarpe, una grossa collana di metallo, gli occhiali da sole — gliel’hanno regalato gli altri ragazzi ospitati qui, tutti minorenni ma più grandi di lui e tutti felicissimi di aiutarlo. E non molla mai il telefonino che gli hanno dato i responsabili del centro, Renato Caliuli e Claudio De Feo. Con lo smartphone non fa che scambiare messaggi WhatsApp con il fratello o parlargli in videochiamata. E appena finisce, chiede: «Quando vado da lui?». E la mamma? Povera donna, Moatez se n’è andato senza dirle niente «perché non sta bene e non volevo che si preoccupasse», confessa ingenuamente. Ma adesso le telefona ogni giorno. E magari, chissà, prima o poi, lui e il fratello potranno anche farla venire in Italia e tornare a vivere anche insieme a lei.

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