la storia
Il viaggio di Moatez, in nave sotto un tir. «Voglio studiare e diventare poliziotto»
Salerno, il 12enne scappato dalla Tunisia per ritrovare il fratello in Toscana
PELLEZZANO (SALERNO) Dice «quando ero piccolo», come se adesso fosse grande. Quando era piccolo, Moatez andava con il papà pescatore al porto di Tunisi e vedeva quella grande nave bianca e blu, e tutti i camion in fila che aspettavano di imbarcarsi, e gli piaceva girare tra rimorchi e cabine di guida, e salutava gli autisti sorridendo con gli occhi grandi. Poi un giorno il papà non tornò a casa. Se l’era tenuto il mare, gli spiegò la mamma. Che viveva a fatica per la miseria e per una malattia che la fa muovere poco e male, e adesso, senza il marito, ai figli non poteva dare quasi più niente, nemmeno i soldi per i libri di scuola. E Moatez smise di andarci, a scuola, e smise pure di andare al porto. Ci andò invece suo fratello più grande, si nascose su un camion e riuscì a salire sulla grande nave. E partì.
Nel centro di accoglienza
Anche il viaggio di Moatez cominciò quel giorno. Cominciò con le lacrime che non riuscì a trattenere, ma anche con la decisione che sarebbe partito pure lui. E non «quando sarò grande», ma quando è ancora piccolo, a tredici anni nemmeno compiuti. Ha aspettato solo che il fratello gli facesse sapere dov’era, e dopo tre settimane è tornato al porto ed è tornato a girare tra i camion. Ma non per salutare gli autisti, stavolta. Ha solo pensato a scegliere il rimorchio più alto da terra e ci si è infilato sotto. Ed è rimasto aggrappato lì per quasi due giorni, mica due ore. Quando la security di bordo lo ha trovato, la nave aveva già lasciato Palermo e stava facendo rotta verso Salerno. Moatez è scoppiato in lacrime credendo che lo avrebbero riportato in Tunisia. Era tutto sporco di grasso: gli hanno fatto fare la doccia e piangeva. Era digiuno: gli hanno dato da mangiare e piangeva. Ma quando ha capito che nessuno lo avrebbe riportato indietro ha ritrovato il sorriso. E da una settimana sorride sempre, tra i ragazzi del centro di accoglienza «L’approdo del re», in provincia di Salerno, dove è stato alloggiato in attesa di poter raggiungere il fratello. Che è di tre anni più grande e dopo essere sbarcato a Palermo ha raggiunto Firenze, dove adesso è anche lui in una casa di accoglienza.
I regali
Le autorità diplomatiche tunisine e i servizi sociali dei comuni di Salerno e Firenze stanno lavorando per il ricongiungimento dei due ragazzi. È deciso che andrà Moatez in Toscana, e allora sì che sarà totalmente felice. Perché lui il fratello lo adora. Dice che «è forte, va in palestra, e voglio andarci anche io. So fare la boxe, mi piace tanto». Gli piacerebbe pure tornare a studiare. «Sicuro. Sono venuto qui anche per andare a scuola. In Tunisia non ci andavo più, ma io voglio imparare. E poi voglio diventare poliziotto». Tutto quello che ha ora — i vestiti, le scarpe, una grossa collana di metallo, gli occhiali da sole — gliel’hanno regalato gli altri ragazzi ospitati qui, tutti minorenni ma più grandi di lui e tutti felicissimi di aiutarlo. E non molla mai il telefonino che gli hanno dato i responsabili del centro, Renato Caliuli e Claudio De Feo. Con lo smartphone non fa che scambiare messaggi WhatsApp con il fratello o parlargli in videochiamata. E appena finisce, chiede: «Quando vado da lui?». E la mamma? Povera donna, Moatez se n’è andato senza dirle niente «perché non sta bene e non volevo che si preoccupasse», confessa ingenuamente. Ma adesso le telefona ogni giorno. E magari, chissà, prima o poi, lui e il fratello potranno anche farla venire in Italia e tornare a vivere anche insieme a lei.