19 gennaio 2021 - 22:38

«Io, gioielliere di giorno e rider in bicicletta di notte. Ho imparato a galleggiare»

Andrea Nasi, 37 anni: «Dalla crisi ne esce solo chi sa riorganizzare la propria vita»

di Simona De Ciero

«Io, gioielliere di giorno e rider in bicicletta di notte. Ho imparato a galleggiare»
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Orefice di giorno. Rider di sera. E volontario per la Protezione Civile nel poco tempo che gli resta. Lui è Andrea Nasi, 37 anni, di Torino. Darsi da fare è il suo mantra, senza perdersi d’animo. Perché questa pandemia non è solo un brutto sogno. E dalla crisi «ne esce solo chi sa riorganizzare la propria vita». Silenzioso e riservato, in sella alla bicicletta con i suoi occhi che brillano della luce di chi, questa vita, vuole coglierla al massimo, ogni istante. Nonostante tutto.

Signor Nasi, gioielliere di giorno. Rider la sera…
«Non sono abituato a lamentarmi, non mi appartiene. La catastrofe che è piovuta addosso a tutto il mondo da un anno a questa parte, non mi ha lasciato scelta. Ho dovuto reinventarmi, almeno in parte».

Da quando consegna le cene a domicilio, con la sua bicicletta?
«Dopo la prima settimana di lokdown primaverile. All’inizio l’ho presa con filosofia e mi sono riposato. Appena ho capito che le cose sarebbero andate per le lunghe, mi sono guardato intorno e ho deciso di lucidare freni e sellino della mia bici, e mettermi in pista».

Con quale agenzia lavora?
«Con Glovo».

È stato facile il colloquio per l’ingaggio?
«Il migliore che abbia mai fatto. Ho mandato un’email e mi hanno risposto: “Ti piace lavorare? Inizi domani!”».

Molti suoi colleghi rider, però, lamentano scarse tutele e una paga bassissima…
«Dipende dal punto di vista. Certo, se fosse la mia unica professione, potrei sentirmi insoddisfatto e recriminare una vita migliore. Freddo a parte, non è poi così male».

E la retribuzione oraria?
«Circa 14 euro l’ora. Certo, senza garanzie; come ogni altra attività da libero professionista, del resto. Questo, però, è un tema che va oltre il mestiere del rider».

In che senso?
«È il mercato del lavoro che si sta livellando verso il basso. Anche le professioni molto specializzate soffrono di questo fenomeno. Figuriamoci per consegnare pasti in bicicletta, dove non è richiesta alcuna professionalità».

L’attività di orefice, invece, le piace?
«È un lavoro che mi appassiona. È molto creativo. Ho a che fare con le persone, non mi annoio mai. E ogni cambio stagione, è una gioia scegliere la collezione, e provare ad anticipare i gusti delle persone».

Cosa le fa piacere in particolare?
«Quando un cliente torna da me, e capisco che sta iniziando a fidarsi dei miei consigli».

Ha frequentato la scuola per orafi?
«No, ho fatto dei corsi specializzati dopo gli studi. E ho affiancato un professionista per un po’».

Crede che i fondi del decreto Rilancio e dei vari Ristori siano stati sufficienti o no?
«In tutto ho preso quattromila euro. Un aiuto, certo, ma è bastato solo a coprire l’affitto. Restano da pagare le bollette, e servono i soldi per andare avanti, ogni giorno».

La sua attività rende bene?
«Quando è esplosa l’emergenza sanitaria, avevo trasferito da poco il negozio in un quartiere dove il commercio gira bene. Direi che sarebbe decollato velocemente, se non avessi dovuto chiudere due mesi, immediatamente dopo aver aperto la nuova sede».

I clienti cosa dicono del suo doppio lavoro?
«All’inizio non ne parlavo. E facevo attenzione a non consegnare dalle parti del mio negozio».

Perché?
«Temevo che ai clienti non piacesse l’idea di un gioielliere che la sera porta la pizza a casa della gente».

Parla al passato…
«Sì, ho capito che il mio modo di affrontare il momento di crisi, potrebbe essere un esempio per qualcuno in difficoltà che non sa come reagire».

Ha conosciuto altri rider che, come lei, hanno altre occupazioni?
«Certo. Tra questi anche un imprenditore che ha diversi locali serali nelle piazze della movida».

C’è tempo per fare amicizia, tra colleghi?
«No, si scambia solo qualche parola, quando si aspetta la consegna davanti a un locale. Nulla di più».

Come organizza la sua giornata?
«Quando posso tenere aperto il negozio, sto lì tutta la giornata. Appena chiudo, vado a casa. Mangio una cosa al volo, mi cambio, ed esco con la mia bici. Ormai ho un buon punteggio e lavoro parecchio».

Cioè?
«Glovo ha un sistema a punti. Più lavori, più sali in graduatoria».

La pandemia l’ha spinta anche a fare volontariato.
«Sì, ho iniziato quando ho dovuto chiudere il negozio. Porto la spesa a casa delle persone in difficoltà, o la distribuisco nei punti di raccolta».

Ha mai avuto paura?
«Di cosa? Della povertà, o di ammalarmi? Ne ho avuta, e ne ho. E il peggio deve ancora venire. Capiremo davvero come sta l’Italia, e noi, quando il pericolo sanitario finirà, i licenziamenti saranno sbloccati, e finiranno gli ammortizzatori sociali».

Poca fiducia nel futuro?
«Ni. Più che lamentarmi, però, preferisco darmi da fare. E poi, il 2020 qualcosa di buono me l’ha insegnato: galleggiare».

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