19 luglio 2020 - 11:58

Giulia Maria Crespi: «Ricordo la Scala dopo la guerra. Dall’epidemia avviso al mondo»

La fondatrice del Fai: «Giusto chiudere monumenti e cinema,la sicurezza vale più di ogni altra cosa. Ma non ignoriamo il fallimento di un sistema»

di Giangiacomo Schiavi

Giulia Maria Crespi: «Ricordo la Scala dopo la guerra. Dall'epidemia avviso al mondo»
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«In questi giorni ho pensato alla storia», dice Giulia Maria Crespi, gran signora del Fai e dell’impegno civile. E la storia prima del coronavirus ha visto imperi crollare, devastazioni, guerre, epidemie, dalle quali è uscito un mondo in cerca di nuovi equilibri, attraversato da fermenti creativi nell’arte e nella cultura. La malattia che infetta l’Italia e il mondo è un grande allarme sanitario, ma per lei è anche un brusco avvertimento. «Ci fa capire come da un giorno all’altro tutto quello che avevamo può non esserci più. La nostra civiltà retta sul denaro e sulla finanza può crollare da un momento all’altro, le cose che avevano valore di colpo non ne hanno più e si comincia a dare un senso a quel che abbiamo trascurato».

A 96 anni non è spaventata dalla vecchiaia ma dall’idea sbagliata che qualcuno ha della vecchiaia come vuoto a perdere, e trova che sia stato giusto chiudere la Scala, il Duomo, i cinema e i teatri perché la sicurezza delle persone vale più di ogni altra cosa. «Ricordo la guerra, le bombe su Milano, la Scala che riapre tra le macerie e la voglia di vivere nell’Italia liberata, ma non ho mai dimenticato la voce di Churchill alla radio che parla di lacrime, sudore e sangue...». Per lei siamo a un bivio della storia anche con il coronavirus. «Impone di seguire le regole sanitarie che ci vengono dettate, ma non possiamo ignorare il fallimento di un sistema che ha distrutto l’ambiente e i beni comuni, facendo prevalere l’effimero e l’arricchimento individuale. Tutto a scapito della scuola, della cultura e dei territori, lasciati senza piani regolatori, trascurati e depredati con il saccheggio e l’abusivismo».

Altri virus che hanno impoverito la terra, drogata con pesticidi e glifosati per farla rendere. Ed è la febbre della terra, con il business del turismo usa e getta dei torpedoni e della navi a Venezia, la mancanza di mezzi alla scuola «che dimentica la musica, trascura la storia dell’arte, ignora la geografia», l’abbandono dei luoghi appenninici e la svalutazione delle soprintendenze che la preoccupa. «Non si può dire che ripartiremo e andrà tutto bene. Bisogna dire le cose come stanno, alla Churchill».E oggi le cose per il Pianeta vanno male. «Bisogna trovare le connessioni positive, ricreare un’armonia, che non sia solo distruttiva e finalizzata all’arricchimento. Penso alle piante e alla metafora del loro modello sociale, come scrive Stefano Mancuso, ai filapperi delle radici che cercano altri filapperi per tenersi uniti. Senza le piante saremmo un pianeta morto. E allora, o noi cambiamo la precarietà di questo nostro modo di vivere che ha deificato robot e WhatsApp, oppure ci dovremo rassegnare alla catastrofe. Io non sono pessimista, ho fiducia nei giovani, sono migliori di chi li ha preceduti, ma per il dopo serve uno spirito nuovo, capace di pensare al bene comune».

È Goethe con il Faust che Giulia Maria Crespi cita a memoria, quasi per esorcizzare le paure mentre i tg raccontano che si allarga la zona dei contagi. «... Come tutto s’intesse nel gran tutto/ e ogni cosa nell’altra opera e vive/ Come, salendo e discendendo alterne/ le celesti energie vedo scambiarsi/ le secchie d’oro...». Dipende da noi, dice Giulia Maria Crespi, accendere scintille nel buio, capire questo brutale avvertimento come un altolà. «Dopo i 93 anni, mi sono sentita più sola, la mia casa è piu vuota, ma è come se avessi allargato la visione del mondo. Dobbiamo creare come le radici delle piante reticoli di fiducia e di speranza». Ripensa a Pasolini e all’invito a guardare il fiore di nocciolo durante l’inverno: fiorisce nel freddo per annunciare la speranza, le aveva detto. In inverno adesso fioriscono le viole. Ma non è un buon segno. Forse sono impazzite. Come questo mondo che davanti a un virus ha perduto le sue certezze.

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