Morto Bruno Latour filosofo francese della scienza e dell’ecologia politica

di ADRIANO FAVOLE

Pensatore eclettico, nato nel 1947, aveva messo in discussione il concetto di modernità e si era caratterizzato come una delle voci più originali in capo ambientalista

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Bruno Latour è morto a 75 anni, la notte tra l’8 e il 9 ottobre, in questo 2022, lo stesso anno in cui ci ha lasciati uno dei suoi grandi ispiratori, James Lovelock. Se, di questi tempi, la parola «Antropocene», ovvero l’epoca in cui gli esseri umani sono divenuti una forza geologica che domina il mondo, ha acquisito una qualche popolarità, una parte importante del merito va riconosciuta proprio a questi due autori. Latour, al pari di Lovelock, è stato con la sua ricca produzione di saggi uno dei grandi ispiratori di una nuova ecologia (si veda il suo manifesto Facciamoci sentire, in uscita a marzo prossimo per Einaudi Stile libero), a partire da un percorso di ricerca molto originale.

Nato nel 1947, dopo la laurea in Filosofia, Latour si dedicò a un’indagine antropologica piuttosto inconsueta per l’epoca. Ad Abidjan, in Costa d’Avorio, fece infatti una ricerca di campo nel Laboratorio dell’Orstom, lo storico istituto di ricerca francese dei territori d’Oltremare. Come si formano le verità scientifiche? La scienza è davvero quel terreno libero da valori, scelte politiche, orientamenti cosmologici quale si è presentata nel pensiero moderno? Parrebbe l’inizio di un percorso scettico e relativista, e in effetti Latour ha dovuto spesso difendersi da queste accuse. In realtà, come mostrano lavori come La scienza in azione (Edizioni di Comunità, 1998) e, molto più tardi, La sfida di Gaia (Meltemi, 2020), l’obiettivo di questo eclettico intellettuale francese va molto oltre e ha poco a che vedere con le posizioni scettiche, divenute oggi così alla moda nel cosiddetto populismo antiscientifico.

Lo scopo di Latour filosofo, antropologo e sociologo della scienza è piuttosto quello di risalire a ritroso verso le sorgenti del pensiero della modernità, soprattutto di quella tranquillizzante e fuorviante divisione tra natura e cultura, tra un mondo umano fatto di affetti, intenzioni, scelte consapevoli e un mondo naturale pensato come se fosse privo di quella che gli inglesi chiamano agency, ovvero la capacità di volontà e di azione.

La modernità, ribadiva ancora Latour in una delle sue ultime interviste (Entretiens avec Bruno Latour, Arté, 2022), è stata una parola d’ordine più che una conquista sociale e politica. Evocare la modernità ha significato per lo più l’ordine di «modernizzarsi», un invito alla crescita senza limiti, allo sviluppo tecnologico senza riflessione rispetto alle condizioni di abitabilità del pianeta, un’esaltazione prometeica del progresso inteso in termini puramente umani.

In realtà, per citare uno dei suoi libri più celebri, Non siamo mai stati moderni (elèuthera 2009), perché in fondo l’ideologia della modernità come dominio del mondo si è accompagnata alla negazione dei diritti degli altri (altre popolazioni e altre forme di vita); e soprattutto all’esaltazione dell’autonomia e della forza dell’individuo occidentale che ha accuratamente nascosto la sua dipendenza e relazione con gli altri esseri viventi, umani e non umani. Ecco, se la nozione di «non umani» è diventata oggi comune tra gli studiosi, un grande merito è proprio di Latour che, sulla scia di Lovelock e con un costante lavorìo di filosofia e critica della scienza, ha mostrato che l’idea di un mondo della natura inteso come una sorta di cieco insieme di esseri oggettuali sottoposti a leggi inviolabili è uno degli esiti più discutibili della cosiddetta modernità scientifica.

Il mondo che abitiamo con gli animali, i vegetali, i virus e i batteri, l’ossigeno e il metano, è un mondo co-costruito, di cui l’essere umano è solo uno degli innumerevoli anelli. Proprio la pandemia, a cui Latour ha dedicato uno dei libri che lo hanno reso più popolare (Dove sono?, Einaudi Stile libero, 2022), ci ha ricordato che questi esseri invisibili che stanno tra il vivente e il non vivente, ovvero virus e batteri, hanno costruito il nostro corpo e l’atmosfera in cui viviamo, quella ristretta «zona critica» della Terra in cui umani e non umani convivono e che sa reagire alle nostre azioni, come mostra il nuovo regime climatico in cui siamo finiti.

Latour ha scritto saggi impegnativi e quasi inaccessibili a un pubblico profano; ha firmato importanti articoli scientifici per le comunità accademiche di cui era parte; è stato capace tuttavia anche di una efficace comunicazione pubblica, attraverso libri divulgativi (per esempio Tracciare la rotta, Cortina 2017), pièces teatrali, allestimenti artistici, partecipazione a mille festival ed eventi culturali. Con Latour, la scienza (che si tratti di fisica o di sociologia) diviene inevitabilmente politica, la scienza è azione ed è soprattutto responsabilità. L’ecologia di Latour è un invito a superare definitivamente la modernità e il suo braccio armato rappresentato dal liberismo arrogante e distruttivo, con un’azione responsabile di nuova «composizione» del nostro mondo. «Comporre» il mondo, una metafora musicale se vogliamo, è l’invito a compiere ogni passo, che si tratti di nuove energie o di relazioni internazionali, scelte rispettose degli altri umani e non umani, degli altri presenti con noi su Gaia e degli altri esseri a venire.

Verso la «de-modernità»: è così che potremmo definire l’approdo ultimo di Latour. La pandemia e le guerre in atto per l’energia ci impongono di lavorare nella direzione di un nuovo paradigma insieme scientifico e politico, fondato sulle nozioni di interdipendenza e di relazione, piuttosto che sull’autonomia dell’umano.

È una rivoluzione che coinvolge anche le scienze sociali, chiamate a estendere la nozione di «società» ai non umani. Certo, è un mondo nuovo e in gran parte ignoto quello verso cui ci stiamo dirigendo e su cui non sappiamo bene come atterrare. E tuttavia, già l’idea di «tornare con i piedi per terra», per citare una celebre espressione di Latour, è un programma di azione che potrebbe in futuro portarci da qualche parte, lontano almeno da quella modernità che rischia di farci scomparire una volta per tutte.

9 ottobre 2022 (modifica il 9 ottobre 2022 | 19:48)