13 aprile 2021 - 07:14

Rugby, Massimo Cuttitta morto di Covid, il gemello Marcello: «In tre giorni ho perso lui e la mamma»

Il campione di rugby, 54 anni, è stato piegato dal Covid. Il fratello ha giocato con lui nella Nazionale: «Ci sentivamo quattro volte al giorno, abbiamo sempre pensato con una testa sola. Ora dovrò farlo da solo»

di Valerio Vecchiarelli

Rugby, Massimo Cuttitta morto di Covid, il gemello Marcello: «In tre giorni ho perso lui e la mamma»
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Oggi pomeriggio il rugby italiano si riunirà in silenzio a Lavinio, litorale laziale, per dare l’ultimo saluto a Massimo Cuttitta, il pilone della leggenda che per 70 volte si è caricato la mischia azzurra sulle spalle e insieme con una generazione di fenomeni l’ha condotta fin dentro all’utopia del Sei Nazioni. Lui che sembrava invulnerabile nello scontro riservato ai giganti è stato piegato dal Covid a 54 anni, due settimane di sofferenza condivise con Marcello, l’inseparabile gemello a cui il virus in tre giorni ha portato via prima l’adorata mamma Nunzia e poi la metà della sua vita: «L’ultima immagine che io e nostro fratello Michele abbiamo di Massimo — racconta mentre aspetta che si concluda la sanificazione della casa di famiglia —, è quella che abbiamo visto attraverso lo schermo di un tablet dell’ospedale. Dovevamo convincerlo ad affidarsi ai medici, aveva deciso di non farsi intubare, ma la situazione stava precipitando. Quando ci ha detto di preoccuparci solo della mamma e ha alzato un dito in segno di assenso prima di entrare in terapia intensiva, ho capito una volta di più che lui era il fratello, il figlio e il capitano che ognuno vorrebbe avere vicino a sé».

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Massimo Cuttitta

Il telefono sta impazzendo, Marcello è frastornato, arrivano messaggi dal Sudafrica, dalla Nuova Zelanda, dall’Inghilterra, dalla Scozia e da quella famiglia allargata che diventa il mondo del rugby quando si tratta di offrire sostegno. Massimo è stato un immenso giocatore e un allenatore che ha insegnato l’arte della mischia in giro per il mondo, sempre con Marcello idealmente al suo fianco. Ai tempi della Nazionale i gemelli Cuttitta erano un’eccezione, uno pilone e capitano, l’altro ala e magnifico realizzatore (28 mete internazionali, nessuno ha segnato come lui in azzurro), lo yin e yang del gioco, fisicamente agli antipodi, ma indivisibili. «Li prendevamo in giro — racconta Paolo Vaccari, altro fenomeno di quella squadra — perché mai prendevano una decisione senza essere in sintonia. Per me restano un esempio di correttezza, di amicizia e di momenti indimenticabili vissuti insieme».

«Massimo negli ultimi tempi — racconta Marcello — aveva rinunciato a proposte di collaborazione con le migliori squadre del mondo: lo avevano cercato in Sudafrica, Irlanda, Australia. Ma dopo la morte di papà aveva deciso di stare vicino alla mamma e non poteva permettersi di stare lontano da casa a lungo: ci ha dato tanto, mi diceva, adesso è giusto che le rendiamo qualcosa». Si era ritirato a Lavinio: uniche distrazioni concesse il restauro di macchine antiche, un gozzo per andar per mare e la totale dedizione alla mamma.

Le ultime settimane sono difficili da raccontare: «Ci sentivamo quattro volte al giorno, era felice perché era riuscito a far vaccinare la mamma. Poi cosa sia successo non è spiegabile, la mamma positiva e subito dopo lui. Sono entrati in ospedale ad Albano Laziale insieme, i medici hanno fatto tutto il possibile, ma non sono più usciti».

I ricordi diventano un placcaggio difficile da sostenere: «Sempre in coppia, alla Pinetown High School in Sudafrica dove papà, ingegnere, era per lavoro e dove abbiamo imparato a giocare a rugby, al Milan per vincere 4 scudetti insieme, nell’era più fantastica della Nazionale. Quando lui diventò il primo italiano ad andare a giocare in un club inglese (Harlequins di Londra, ndr) io ero orgoglioso e un po’ spaesato. Era convinto che lo avrei raggiunto presto, ma avevo fatto una scelta di vita diversa: un lavoro a Milano e la voglia di metter su famiglia ci separarono per la prima volta. In campo e nella vita è stato il mio riferimento, umile e sempre rassicurante. È proprio vero, pensavamo con una testa sola. Adesso dovrò imparare a farlo da solo».

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