agricoltura

Coronavirus, «Grano, pomodori, frutta: nei campi servono 200mila operai»

di Michelangelo Borrillo

Chi raccoglierà le fragole? Chi trapianterà i pomodori? E chi mieterà il grano e preparerà le viti per la vendemmia? Il coronavirus rischia anche di mettere in crisi il settore agricolo per mancanza di manodopera. «Con le persone colpite dal virus, quelle in quarantena e gli stagionali stranieri rientrati nei Paesi di origine che non possono tornare in Italia per il blocco della circolazione — spiega il presidente di Confagricoltura Massimiliano Giansanti — nelle campagne mancano braccia. E siamo in un momento cruciale: si avvicina la stagione della raccolta degli ortaggi e della frutta estiva. Servono almeno 200 mila persone subito. Per questo abbiamo chiesto strumenti governativi che facilitino le assunzioni, come i voucher, o la possibilità di impiegare persone che hanno perso il lavoro o i cassintegrati» (qui la diffusione del Covid-19 nel mondo).

Quali sono le colture a rischio?
«Tutte, a partire dalle prime di asparagi e fragole. In Italia gli operai agricoli sono circa 1,1 milioni. E di questi i lavoratori stranieri regolari sono poco meno di 400 mila, ovvero circa il 36%, la stragrande maggioranza dei quali rumeni. Senza di loro si torna a un’agricoltura con sole braccia italiane, che a memoria non ricordo: gli ultimi campi senza immigrati saranno degli anni 70».

Cosa rischia l’agricoltura italiana?
«Stiamo entrando nel periodo primaverile, quando iniziano le raccolte e si programmano quelle estive, dai pomodori al grano, e si preparano le vigne e le potature degli oliveti. Al momento mancano 200 mila persone rispetto agli standard, gli operai dell’Est Europa che solitamente vengono da noi per 4-5 mesi e adesso non possono».

In che senso rispetto agli standard?
«Perché adesso dobbiamo aggiungerci l’incognita Covid-19 anche per gli italiani. Per ora stanno andando nei campi e, nonostante assenze di circa il 20% per malattia o quarantena, stanno garantendo le forniture alla filiera alimentare. Ma le aziende iniziano a faticare nel trovare ricambi».

Occorre trovare alternative. Ci state pensando?
«Sì, bisogna trovare un rimedio, anche perché il problema non è solo italiano ma tutti i Paesi agricoli europei: si stima che a livello continentale servano circa 700 mila persone. E negli Usa la principale associazione degli agricoltori ha fatto sapere che per completare regolarmente le attività ha bisogno di circa 260 mila lavoratori stagionali. La risposta dell’amministrazione è già arrivata, con una semplificazione delle procedure per il rilascio dei visti che consentirà, in particolare, l’arrivo di personale dal Messico».

E in Europa e in Italia cosa si può fare?
«Partiamo dall’Europa. Nei giorni scorsi avevamo chiesto all’Unione europea di creare una sorta di corridoi per permettere la mobilità di lavoratori agricoli all’interno della Ue. E la Commissione ha appena pubblicato degli orientamenti che vanno in questa direzione. Si tratta, però, di orientamenti, per cui non sono iniziative cogenti. Ma la disponibilità a garantire la libera circolazione dando la priorità a settori essenziali va nella direzione giusta».

E in Italia?
«La circolare del ministero dell’Interno che ha prorogato fino al 15 giugno i permessi di soggiorno in scadenza tra il 31 gennaio il 15 aprile è un primo passo. Ma non basta. Bisogna avviare in tempi rapidi l’iter per la definizione di un nuovo decreto flussi che consenta al settore agricolo di impiegare lavoratori non comunitari. E poi bisogna osare di più».

Nel fare cosa?
«Proprio in queste ore abbiamo scritto alle ministre Teresa Bellanova dell’Agricoltura e Nunzia Catalfo del Lavoro per favorire l’incrocio tra domanda e offerta con il ricorso a manodopera italiana disponibile a lavorare nel settore agricolo, anche se al momento fruisce del Reddito di cittadinanza. Occorre superare dei limiti nomativi, ma basterebbe un emendamento al decreto legge 18/20 per garantire ai datori di lavoro agricolo un esonero contributivo e a chi beneficia del Reddito di cittadinanza un prolungamento del periodo di percezione pari alla durata del rapporto di lavoro stagionale. Inoltre si potrebbe fare una sorta di call per gli operai in cassa integrazione di altri settori o un reclutamento dei disoccupati con strumenti che facilitino le assunzioni, come i voucher».

Ma questa situazione potrà avere ripercussioni sui prezzi? «Sì. E per evitarle occorre che l’intera filiera fissi regole comuni per un giusto prezzo al consumatore e un giusto reddito per chi produce».

A proposito di filiera, ma ci sono rischi per la produzione di pasta, visto che parte del grano utilizzato è importato?
«Per quest’anno no. Sempre che riusciremo a raccoglierlo il grano italiano».

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