l’intervista

Tria: «Il deficit è in calo. Disinnescare l’aumento dell’Iva è possibile»

di Federico Fubini

Tria: «Il deficit è in calo. Disinnescare l'aumento dell'Iva è possibile»

Un sabato pomeriggio di agosto, Giovanni Tria siede da solo nello studio che fu di Quintino Sella. Non ci sono neanche gli usceri, giù all’ingresso. «Mi lasci godere di questa relativa tranquillità», dice il ministro dell’Economia prestato da tecnico al governo M5S-Lega. Da qui assiste a una delle più ingarbugliate crisi politiche di sempre senza che i mercati reagiscano, anche perché lui per due volte ha operato per limare gli obiettivi di deficit e evitare una procedura europea.

Ministro, restano clausole di aumento automatico di Iva e accise da 23 miliardi a gennaio. In parte le avete ereditate, in parte le avete messe voi per compensare un punto di Pil di spesa corrente in più. Scatteranno?
«Ci sono margini di manovra. Anche a leggi vigenti, senza altre misure, il deficit per il 2020 sarebbe sostanzialmente inferiore al 2,1 % del prodotto lordo (Pil) previsto nel Documento di economia e finanza di aprile scorso. Siamo molto sotto quel livello. È il risultato di una politica di bilancio che ha permesso di portare avanti i programmi voluti dalle forze politiche, ma mantenendo i saldi di bilancio sotto controllo».

Il deficit 2020 è di 0,3% del Pil inferiore al previsto?
«Anche di più di 0,3%. Ovviamente sono previsioni, soggette a correzioni legate all’andamento dell’economia e alle aspettative».

Dunque le clausole sarebbero da meno di 23 miliardi?
«Penso sarebbero certamente minori dell’ammontare delle clausole di salvaguardia previste per il 2020 dai programmi del governo precedente».

L’esecutivo di Paolo Gentiloni aveva lasciato clausole da 19 miliardi per il 2020.
«A copertura di pensioni a “quota 100” e reddito di cittadinanza sono state aumentate, ma ho sempre pensato fosse inutile: era prevedibile che la spesa sulle due misure sarebbe stata minore del previsto. Ora si è dimostrato».

In sostanza ci sono sette o otto miliardi di deficit in meno rispetto alle attese, sul 2020?
«Non solo per i risparmi sulle due misure, anche per le maggiori entrate attese e i minori interessi sul debito. Si oscilla tra i sei e gli otto miliardi. Dipende da noi, se sapremo conservare la calma sui mercati e quindi uno spread fra titoli italiani e tedeschi sui livelli attuali o poco più bassi. Ricordo che quando si delinea il quadro del bilancio in autunno, per convenzione, le proiezioni della spesa sul debito risentono dell’andamento dello spread nelle ultime settimane prima di varare la manovra. Quindi sarebbe utile non farlo aumentare nelle prossime settimane, come accadde l’anno scorso».

Anche così - e senza pensare altre clausole da 28 miliardi sul 2021 - resteranno da trovare risparmi per almeno 15 miliardi in autunno.
«Possibilmente di più, per finanziare la prima fase di una riforma fiscale. Certo non è facile, ma da tempo ci lavoriamo. Da una parte, rivedendo tutte le poste per capire dove sia possibile ridurre la spesa corrente. Ci sono molte voci che a volte neppure “tirano”, non assorbono cassa. Poi stiamo lavorando su deduzioni e detrazioni. Anche lì ci sono spazi. L’obiettivo non è solo evitare gli aumenti deel’Iva, ma una riduzione fiscale in direzione della cosiddetta flat tax. Altri parlano di cuneo fiscale, ma in fondo è qualcosa di molto simile: è ridurre la pressione fiscale sui redditi medio-bassi, soprattutto salari da lavoro dipendente».

Se per trovare i soldi il prossimo governo dovesse buttare dalla torre “quota 100” o reddito di cittadinanza, quale delle due consiglia di sacrificare?
«L’anno scorso io ero per ridurre subito le tasse sui redditi medio-bassi con risorse più o meno corrispondenti a “quota 100”. Ma penso sia negativo avere politiche sussultorie. Se cambiamo sempre quanto fatto dal governo venuto prima le famiglie non spenderanno mai quanto viene loro in tasca, perché non sanno quel che può succedere».

Temono sacrifici dietro l’angolo per finanziare quanto fatto fin, non trova?
«In ogni caso è possibile intervenire senza colpire le varie classi sociali: molte misure in Italia subiscono una drammatizzazione. Lo stesso dibattito sull’Iva lo mostra. Rispetto ad un ipotetico aumento, certo ben inferiore ai 23 miliardi, c’è chi parla di recessione, di crollo dei consumi… sciocchezze. Ma non è questo l’obiettivo, che rimane di evitare l’aumento. Ma sono state fatte in Italia manovre di bilancio molto più drammatiche di questa. La cosa migliore è distribuire gli aggiustamenti il più ampiamente possibile tra le voci di bilancio».

Sarebbe fuori dal mondo pensare a un obiettivo di deficit 2020 fra il 2% e il 2,7%, ora che anche l’Europa rallenta?
«Da un punto di vista economico per me il deficit non è un tabù. È uno strumento di politica economica, e purtroppo l’Europa lo ha dimenticato. Però è uno strumento, non un fine. Conta cosa se ne vuole fare. Ha senso per aumentare gli investimenti, ma già riusciamo solo con difficoltà a farne con gli stanziamenti già in bilancio. In realtà all’Italia interessa di più e conviene di più una forte politica espansiva degli altri Paesi europei che hanno spazio di bilancio. Avremmo l’impatto positivo, senza il maggiore indebitamento».

Ministro, in questi 15 mesi ha capito perché le decisioni dei governi in Italia sono sempre così di corto respiro?
«Problema complesso, legato agli assetti istituzionali. Ma è diventato più acuto per un sistema di comunicazione sui media per cui ormai si formano politiche su simboli o parole d’ordine e questo produce grossi spostamenti di consenso, senza che dietro ci sia consapevolezza del merito».

L’overdose di social network non fa bene alla politica economica?
«Non fa bene alla politica economica e a molto altro».

Lei e i suoi collaboratori siete stati spesso sotto attacco da M5S o Lega. Dica la verità: ha mai pensato a dimettersi?
«Devo dire di no. Mai pensato a dimettermi in relazione a qualcosa. Mi sono detto che sarei rimasto fin quando mi fossi sentito utile, in qualunque situazione. Dopodiché, se si fosse creata una situazione che poi non si è creata, forse avrei scelto di abbandonare.

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