Sardegna senza confini: una villa affacciata sulla costa incontaminata

Affacciata sul mare della Sardegna, un’architettura che evoca gli anni ’60 più coraggiosi: quelli dell’invenzione della Costa Smeralda e dei suoi progetti liberi e innovativi.
Sardegna senza confini una villa affacciata sulla costa incontaminata
Tiziano Canu

Una villa in Sardegna dal fascino mediterraneo

Per Stefania Stera (nata a Roma, origini sarde, studi di Architettura a Parigi, città dove tuttora vive e lavora) questo progetto è stato molto di più di un ritorno alle radici: le ha dato l’occasione per confrontarsi con un’epoca che per la Sardegna è stata d’importanza eccezionale, quella segnata dalle iniziative di Karim Aga Khan, l’inventore della Costa Smeralda. «Qui hanno lavorato architetti fuori dal comune: Jacques Couelle, Luigi Vietti. Da bambina vedevo i loro progetti prendere forma ed era affascinante. Come la casa che Cini Boeri si costruiva alla Maddalena, di cui tutti dicevano che sembrava un bunker e che io trovavo bellissima», ricorda oggi.

L’edificio si inserisce armoniosamente nel paesaggio. Tiziano Canu

L’edificio di queste pagine si affaccia sulla spiaggia di La Celvia, a poca distanza dall’hotel Cala di Volpe. Un paesaggio di bellezza assoluta che purtroppo negli anni ha subito qualche torto da parte dell’uomo. «Era un luogo pensato per un turismo d’élite, affascinato dalla natura e dal senso di libertà che dava. Pareo e piedi nudi. Poi è diventato semplicemente un posto per ricchi. Sono spuntate ville enormi con finestrelle storte per “fare paesano”, hanno cercato di copiare uno stile inimitabile», prosegue Stera. «Qui c’era una casa anni ’70, sempliciotta. Rifiutava le alture alle sue spalle affacciandosi completamente sul mare, da cui la separava un prato in pendenza. L’abbiamo demolita per poter ripartire da zero».

Tiziano Canu

Il progetto è articolato su alcune idee-cardine: il dialogo col paesaggio - ne sono un esempio i lavabi a incasso, i vani doccia e i radiatori, modello Tubone di Antrax IT, scelti in colore bianco per riscaldare gli ambienti durante le stagioni più fredde - la semplicità che nasconde raffinatezze estreme, il gioco dei materiali. I volumi sono stati sollevati da terra, come grandi massi appoggiati solo su pochi punti, creando così una sorta di “piazza” centrale, riparata e ventilata. È stata valorizzata tutta la parte a monte dell’edificio, che ha una vegetazione magnifica. Il pendio erboso è stato riportato a uno stato più selvaggio con grandi massi («Ci sono volute tre gru per portarli») e nuova vegetazione. Il fulcro del progetto però è la continuità tra interno ed esterno: come spiega l’architetto, «È come un nastro di Moebius, gli spazi si prolungano all’aperto ed è difficile tracciare un confine, in alcune camere il bagno diventa un patio o una veranda/grotta. La muratura grigia, che si mimetizza nelle rocce, in alcuni punti dà spazio a ceramica dipinta e diventa una superficie liscia e brillante, come l’interno di una conchiglia». Le ispirazioni? «Il lavoro di Kazuo Shinohara, architetto che disegnava planimetrie di grande purezza: visto dall’alto questo edificio ha una forma semplice, un quadrato, anche se sembra una cittadella; poi alcuni dettagli presi da Le Corbusier come l’intonaco materico della sala da pranzo; e, appunto, la famosa casa-bunker di Cini Boeri. Anche se questa è l’opposto, pensata per ricevere, con una cucina immensa, una stireria, interruttori a sfioro, finestre che si aprono automaticamente: prestazioni da hotel a cinque stelle».

La scala a ponte che porta al living, al livello superiore. Tiziano Canu

Un altro concetto che a Stera sta a cuore è quello di “nomade”: nella casa, gli armadi hanno l’aspetto di bauli/totem; le scale esterne sembrano appoggiate. La sala da pranzo è forse lo spazio che incarna al meglio questo spirito. La copertura asimmetrica e curva evoca il volume di una grotta; il grande lampadario centrale ha la struttura fatta di tronchi portati dal mare, legati da funi nautiche. «In questo ritorno alla mia terra c’è stato qualcosa di rituale. Alla committenza avevo promesso un “palais pieds nus”, volevo ricollegarmi alla storia di questo luogo. E anche alla mia: perché con nove camere, tutte con bagno, questa villa sembra davvero un piccolo hotel. Come quelli che da bambina costruivo con la sabbia. Non castelli: proprio alberghi. Con archi, pontoni, rocce che entravano nell’architettura. I cantieri che i miei mi portavano a visitare mi sembravano un luna park. E io provavo a imitare quel mondo».