28 giugno 2018 - 18:30

Francesco De Gregori: «Così ho convinto mia moglie a cantare»

Il cantautore in tour con la compagna di una vita. Un duetto sul classico napoletano «Anema e core». «Le sussurrai la canzone per il suo compleanno a Napoli»

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di Andrea Laffranchi
Casa De Gregori, quartiere Prati a Roma, sa di musica. Di canzoni da ascoltare. In salotto i cd sono in bell’ordine all’interno di una consolle. Per Bob Dylan, passione e riferimento assoluto, c’è una nicchia dedicata: vinili e volumi pieni di memo gialli. Di canzoni da ascoltare bene. Sul soffitto sono montati pannelli acustici per migliorare la diffusione delle onde. Persino di canzoni da suonare, al pianoforte che arreda con eleganza un angolo della stanza. «Le mie canzoni funzionano anche solo voce e piano, ma non farei mai un concerto del genere. Mi annoierei subito. L’ho visto fare a Randy Newman, uno dei miei artisti preferiti, ed è stata dura». Sa anche di canzoni neonate. «A volte capita che componga qui, ma non ho uno spazio determinato. Se lo avessi, non ci andrei perché l’idea di dover creare mi renderebbe disciplinato», racconta. Il metodo di scrittura di Francesco De Gregori invece non ha regole. «Non sono metodico, non sono nemmeno uno strumentista e quindi non ho un allenamento quotidiano. Le canzoni mi vengono nei luoghi più impensati, anche in coda al supermercato». La regola numero uno è mantenere la calma. «Non ho bisogno di attaccarmi al registratore del telefono o di prendere appunti sullo scontrino. Se il giorno dopo non ricordo l’idea per un titolo o lo spunto musicale, evidentemente non vale. Vicino al comodino però tengo carta e penna: la mente stanca a volte si lascia andare e in quel caso meglio essere pronti».

Al via il tour estivo: prima data il 6 luglio a Roma

Carta e penna sono ferme da tempo, l’ultimo album di inediti risale al 2011. «Non mi sono ancora arrivate dieci nuove canzoni per poter pensare a un album». Quest’estate c’è un tour (parte il 6 luglio da Roma e tra le altre date ci sono il 21 luglio a Milano-Sesto e il 25 a Firenze) con una scaletta in cui ci saranno «i pezzi più conosciuti che devi dare a una parte di pubblico, ma anche brani pescati dal repertorio che un’altra parte vuole sentire». E ci sarà anche quella versione di Anema e core, vista nei concerti dello scorso autunno, in duetto con la moglie Alessandra Gobbi. «Sembra strano che De Gregori canti in napoletano. Figuriamoci poi se lo fa con la sua ragazza...». La prima volta che la fecero assieme, in un club a Nonantola, lei gli prese la mano. «Era emozionata e divertita allo stesso tempo. Con quel tanto di atteggiamento di assoluta normalità che non guastava. Confesso che anche io un po’ di emozione l’ho avvertita». Tutto è nato da un gesto di altrettanta tenerezza del Principe. «Lo scorso anno per il compleanno di Chicca, il 21 agosto, siamo andati in gita a Napoli. C’è una trattoria dove vado spesso e di solito c’è un posteggiatore». Parentesi linguistica per i non napoletani. Il posteggiatore non è quello che si occupa delle macchine dei clienti e le parcheggia, ma il cantante che intrattiene la sala. «Avevo pensato di chiedergli Anema e coree dedicarla a Chicca. Un po’ come fa Berlusconi-Servillo con Fabio Concato in Loro 1 di Sorrentino. Quella sera il posteggiatore non si è presentato e allora l’ho fatta io».

I figli gemelli, classe 1978, hanno aperto a Roma un negozio di vinili

Non immaginatevi la scenetta con il Principein piedi in mezzo al locale. «Le ho spiegato quale fosse il mio piano e per rimediare gliel’ho canticchiata sottovoce. Da lì è nata la voglia di andarsi a rileggere le parole. E poi, visto che mia moglie canta nel Coro del Testaccio di Giovanna Marini, le ho chiesto di farla con me dal vivo». Chicca si è messa on the roadper tutto il tour. «La canzone arriva sempre a fine serata e lei mi chiede “ma che faccio fino a quel momento?”. E io sdrammatizzo: “leggi un libro”». In primavera si sono esibiti oltre confine. «A Parigi e New York abbiamo portato anche i nostri figli. Siamo riusciti a fare anche i turisti: distrae e alleggerisce». Federico e Marco, gemelli classe 1978, da qualche mese hanno aperto a Roma un negozio di vinili. «Certo che ci sono anche i miei», ride Francesco. Ci sarà anche quello di Anema e core, edizione limitata che verrà pubblicata in autunno in parallelo a una distribuzione gratuita sul digitale. «La musica che va di moda non è certo questa, ma trovo bello questo spirito indipendente, un distacco da certi protocolli e meccanismi che a questo punto della carriera mi posso anche permettere».

«Mi disturba che la musica ormai si ascolta solo in maniera distratta»

Assomiglia alle strategie della nuova «generazione trap» che pubblica canzoni senza seguire la liturgia dell’album ogni paio di anni. «È la dura legge del gol. Lo streaming ha cambiato il meccanismo, si ascolta il pezzo e non l’ellepi come opera integra. Non ci trovo nulla di negativo, ma non uso le piattaforme come Spotify. Non mi piace frazionare l’ascolto e gli autori che amo non si possono frequentare a metà. Quello che mi disturba invece è che la musica ormai si ascolti in maniera distratta, che sia un sottofondo mentre si fa la spesa. Con Nicola Piovani ci diciamo che sarebbe bello fare una canzone su quel tema e presentarla con un flash mob alla farmacia qui sotto». Negli ultimi mesi molti colleghi hanno ufficializzato il ritiro: Elton John, Neil Diamond, Joan Baez... «Volete che molli?», ironizza. «Non ho annunciato il mio arrivo e non vedo perché farlo con l’addio. La comunicazione apodittica non fa per me, sembra quasi il volersi togliere un dente. Ci sono stati momenti nel passato in cui ho pensato di mollare, ma poi ragionandoci a fondo ho trovato le motivazioni per continuare». L’unico che ha detto basta veramente, senza ripensamenti pubblici o privati, è stato Ivano Fossati... «Un’assenza che si sente. Peccato. Vorrei che ci ripensasse e tornasse a fare sia dischi che concerti».

«Tutti noi artisti siamo un po’ narcisi, anche quelli che negano di esserlo»

Nel racconto che De Gregori fa di se stesso al di fuori delle canzoni, torna spesso la parola narcisismo. «Tutti noi artisti lo siamo. Vogliamo specchiarci negli altri e ritrovarci belli. Anche quelli che fanno finta di nascondersi». Ci sono stati momenti in cui lui è stato campione di nascondino, con il pubblico e con la stampa. «Non ero stronzo, al limite un po’ ruvido... C’è stato un momento in cui chi era attorno a me aveva creato una cortina fra me e i giornali. E anche con il pubblico ero più imbronciato: il mio atteggiamento sul palco, naturale e non studiato, era condizionato dalla paura di apparire come quello che vuole stare sotto le luci». Qualcuno ha detto che sia stato il tour del 2010-11 con Lucio Dalla a fargli cambiare atteggiamento. «Forse... Ho visto la sua innocenza e il suo distacco dagli stilemi del comportamento dell’artista con chi gli sta intorno. “È giusto fare così” mi disse una volta. Un po’ mi ha cambiato. Però detesto ancora chi non sa chi sono e arriva a chiedere un selfie. Lo capisco dallo sguardo se c’è voglia di rompere o la curiosità di chi mi vuole bene. Chi non ti conosce artisticamente e ti vede come un personaggio da tenere sul telefono, non ti rispetta».

«Il fatto che sia uomo di spettacolo non deve determinare il mio look»

C’era curiosità quando lo scorso anno si è presentato sul palco senza barba e senza cappello. Adesso è tornato il De Gregori classico. «Non volevo sembrare diverso. Quando qualcuno mi ha detto che stavo malissimo senza barba non me ne importava nulla. Forse era stato il caldo dell’estate scorsa a spingermi al taglio. Il fatto che sia uomo di spettacolo non determina che debba curare il look. I cappelli sono l’unico articolo di scena che utilizzo. Mi piacciono, ma non è che li indossi sempre, nella vita di tutti i giorni. Non c’è attrito fra il modo in cui vivo la mia vita privata e l’artista. Se non nel linguaggio: non parlo come scrivo, altrimenti chi mi sta attorno mi prenderebbe a calci».

«Non ho hobby o manie. Amo i viaggi. L’ultimo? Ad Atene»

Con o senza cappello cosa ama fare il Francesco privato? «Mi piace leggere, andare al cinema e avere relazioni con persone di sostanza, che non parlino di banalità. Il successo di una cena dipende in primo luogo da quello. Non ho hobby o manie. Amo viaggiare. L’ultimo viaggio l’ho fatto ad Atene. Questo lavoro può essere una gabbia, ma se te lo concedi ti permette una libertà massima». Alla domanda «citami un cantautore italiano», molti risponderebbero con il suo nome. Ma lui eliminerebbe la definizione dalla conversazione. «Non la amo. Come non amo impiattare e vip. Cantautore è una parola ibrida, definisce poco. Sembra volerti mettere su un piedistallo, al di sopra degli altri. Cantautorato è ancora peggio: è spocchiosa. Questi termini hanno identificato un personaggio ombroso, reclinato su se stesso, che vuole ammaestrare il pubblico e fare discorsi prima delle canzoni. Non rifiuto il mio mestiere, ma preferisco cantante, rievoca il mondo sano degli anni Sessanta».

«I rapper? Mi hanno chiesto di collaborare ma...»

In quegli anni De Gregori muovevai primi passi al Folkstudio, culla della cosiddetta scuola romana dei cantautori. Negli anni Novanta ci fu una seconda ondata con Niccolò Fabi, Max Gazzè, Daniele Silvestri e Alex Britti tra gli altri, poi il vuoto. Oggi con Coez e Tommaso Paradiso la Capitale è tornata al centro della scena. «La musica non è slegata dal contesto. Roma ha grossi problemi di tutti i tipi. Questo fermento potrebbe essere una reazione alla stagnazione culturale che si percepisce». Ci pensa un attimo ancora e aggiunge: «Forse c’è un segnale anche in questo palazzo. Nel seminterrato c’è un appartamento che è stato occupato a lungo da un commercialista. Adesso vedo entrare e uscire un gruppo di ragazzini: li sento spesso fare musica la sera, dalle nove alle undici, e direi che fanno trap. Non mi riconoscono o forse fanno finta di non sapere chi sia». Un paio di anni fa ha dato la sua benedizione a Fedez, ma con i rapper, da alcuni considerati i nuovi cantautori, non ha mai collaborato. «Me lo hanno chiesto ma mi sembrerebbe una forzatura».

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